27 marzo 2012

Cari venticinque lettori...


State per leggere una serie di storielle da bar. Perché l’unica cosa che mi manca veramente dell’Italia, che ho lasciato in via più o meno definitiva diciotto anni fa, alla fine di un’adolescenza inutilmente protratta da inevitabili circostanze umane e materiali, è appunto il bar. Ho mantenuto la lingua e la cultura – anche per lavoro, ma di questo dopo – e con un po’ di pratica anche la cucina e le altre abitudini; e magari costanza e dedizione avrebbero conservato anche la mia fede religiosa (che non ho mai perso del tutto, però: s'è solo trasformata). Ma il bar?
Qui negli Stati Uniti chiamano ‘bar’ un posto oscuro che vende in prevalenza alcolici e quindi, visto che non è permesso bere birra per strada, spesso non ha nemmeno i tavolini fuori. Di solito apre verso mezzogiorno e dalle cinque in poi comincia la baraonda del juke-box e dei due schermi ultrapiatti che mandano le immagini di due partite diverse, baseball a destra e pallacanestro o football a sinistra; football loro, beninteso, coi pupazzoni iperprotetti in campo a urtarsi e a strattonarsi come nel rugby inglese, dove però per coerenza non ci si protegge e almeno ogni tanto si finisce in ospedale.
Delle partite si capisce poco o niente, visto che la telecronaca è spesso zittita dalla musica scassatimpani che non ti permette nemmeno di far motto al vicino, che comunque bada ai fatti suoi e non vuole essere disturbato. Certo, del manierismo barocco di Nando Martellini e della pompa celebrativa di Bruno Pizzul si fa anche a meno; ma l’ironia fulminante di Beppe Viola? Chi può più permettersi di dire che un calciatore, per sembrare un genio, avrebbe dovuto essere completamente diverso? Chi può più dare del ‘macellaio’ a John Butcher, che prende il triplo del tuo stipendio? Qui anche al bar la gente si misura in migliaia di dollari di reddito annuo. Meglio lasciar perdere.
Non aspettatevi gran che. Non ho intervistato chi muove le leve del mondo e non ho mai ricevuto le confidenze in segreto di chi avesse bisogno del ciambellano di turno per liberarsi del peso della storia. Questo capita ai giornalisti, che di mestiere sanno bene che cosa raccontare e che cosa no (altrimenti avrebbero perso il posto da tempo) e quindi quando cercano sanno che cosa trovare; e se sono in difficoltà con l’inglese, “c’è sempre un professorino di italiano che ti toglie dagli impicci”, recitava Camilla Cederna, che voleva il servizio di interpretariato e traduzione gratuito solo per il privilegio di starle vicino e di strapparle la promessa marinara di una mezza colonnina in ottava pagina. Per carità: le fanfare del commento autorevole e delle interviste con la storia non fanno per me. A me basta il flautino di Titiro nella prima bucolica di Virgilio (e il ricordo dei miei vent’anni e della facoltà di lettere: anch’io faccio il professorino di italiano).
Chiaro, non sono andato in cerca di tutte queste storie e nemmeno loro hanno cercato me: mi sono solo capitate. Vero, ho stretto la mano a un Premio Nobel per la Letteratura (Saul Bellow), ascoltato la conferenza di un altro (José Saramago), consolato al telefono l’ex-allieva-amante di un terzo della morte dello stesso (Joseph Brodsky), conosciuto il depositario dell’esclusiva mondiale sui libri firmati da un potenziale quarto (Philip Roth, che ha settantacinque anni; sarà bene che si sbrighino), la vedova di un mancato quinto (Bernard Malamud), l’apparente figlio illegittimo di un sesto (Isaac Basheviz Singer), ecc. Ma anche questo mi è capitato per caso. Perché per buona parte, credo, la vita è quello che ti capita mentre hai altri progetti, diceva John Lennon. Forse ai musicisti rock, tra alcol e droghe varie, è meglio non dar retta; ma due cose giuste le hanno dette e questa è una. L’altra è che non si ottiene sempre quello che si vuole, ma si trova sempre quello di cui si ha bisogno e, visto che Mick Jagger è ancor meno affidabile, garantisco io per lui. Il resto mi sembra giusto che sia vita. E ora un brindisi: salute! Non dimenticatevi che siamo al bar.

6 commenti:

  1. Aspetto il seguito con curiosità ;-)

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  2. che bello! segnalerò il blog ai miei studenti di cultura americana ! ... e potremmo fare un "gemellaggio virtuale" col bar Atabulus che sta proprio sotto il dipartimento dove insegno a urbino

    good luck & take care!

    ps ... DAVVERO hai stretto la mano a Saul... ? e' il mio mito... proprio oggi esce in Italia in libreria la nuova edizione di La Vittima con la mia Introduzione... però io ho stretto la mano a Seamus Heaney, altro premio Nobel... puo' bastare per frequentare lo stesso bar?
    ; )

    alessandra

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  3. in bocca al lupo Andrea. L'ho aggiunto al mio newsreader

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