tag:blogger.com,1999:blog-44847736120551845852024-03-13T04:53:45.392-04:00America al barStorie e storielle di uno spaesato in buona sostanza contento e, nonostante (il) tutto, allegromalagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.comBlogger47125tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-82589539555523886212022-10-02T08:42:00.013-04:002022-11-23T10:36:22.705-05:00Brutta razza, l'europea<p>Nell'Italia in cui sono cresciuto (1964-1990), quando anche il razzista Indro Montanelli diceva (a modo suo, chiaro) che non era mai esistita una razza italiana, certe cose non erano nemmeno pensabili. Oggi, invece, il "testo dell'argomento da discutere" (così sta scritto) scelto per la prova orale del concorso a cattedre D.D.G. 499 / 2020 per la classe di insegnamento A022 (italiano, storia e geografia nella scuola media inferiore) è <b>La razza europea</b> (in grassetto nel foglio).</p><div class="separator" style="clear: both; text-align: right;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPu96HJqtaTrSBYP-DSKlOOTm23-eA6IJAy2BNXQ_JAw5A7JlUaelKfJzLt7e5rtIv0zj8e5ci5ta2xNaNL18AKNgNDSYD_e02F06Gorf8EXpUp0-2uko2GwKMc5RKeAj_2ffcV2QhTKEg8y73VaYTBkgIf4Kr3qype45P9bdVxYwQARUpyopC368G/s330/WhatsApp-Image-2022-05-28-at-17.28.40-330x173.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="173" data-original-width="330" height="168" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPu96HJqtaTrSBYP-DSKlOOTm23-eA6IJAy2BNXQ_JAw5A7JlUaelKfJzLt7e5rtIv0zj8e5ci5ta2xNaNL18AKNgNDSYD_e02F06Gorf8EXpUp0-2uko2GwKMc5RKeAj_2ffcV2QhTKEg8y73VaYTBkgIf4Kr3qype45P9bdVxYwQARUpyopC368G/s320/WhatsApp-Image-2022-05-28-at-17.28.40-330x173.jpg" width="320" /></a></div><p></p><p>Voglio sperare che si tratti della burla sinistra di un qualche oscuro funzionario, maligno e ottuso, coinvolto nel vortice del neofascismo sdoganato di recente. Comunque, ho deciso di svolgere la traccia orale per iscritto, anche perché sono già in possesso dell'abilitazione per le medie inferiori (A022) e superiori (A012) e quindi non temo bocciature.</p><p></p><p>La razza europea è brutta. Brutta dentro. Proprio come la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo, così la bellezza è epidermica, ma la bruttezza penetra nel midollo. La razza europea deriva da secoli di invasioni di diversi gruppi etnici, quindi di guerre, di massacri, di stupri e di generazioni cresciute nell'odio e nel terrore; la pace, ormai finita, è durata meno di ottant'anni. La razza europea ha quindi passato secoli a scannarsi ed è arrivata, nel migliore dei casi, a spartirsi il territorio a seconda della professione religiosa: <i>cuius regio, eius religio.</i> Spiego: si sceglie dove vivere a seconda (geniale!) della diversa maniera di pregare lo stesso dio, quello del predicatore di Galilea crocifisso poco prima dell'eclisse, quel Gesù che secondo gli ebrei è blasfemo e secondo i mussulmani un profeta di Maometto. Per due maniere diverse di credere a chi diceva "Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi" (Giovanni 15,12) la brutta razza europea s'è scannata per trent'anni: 1618-1648. E questo è solo uno dei tanti esempi. Brutta razza, brutta razza davvero.</p><p>E visto che non le bastava nemmeno scannarsi sul suo suolo, la brutta razza è andata ad ammazzare altrove. Il mercante genovese che voleva "buscar el levante por el ponente" si accorse presto di essere capitato in un continente fuori dalle mappe e, vedendo gli indigeni tanto ingenui, pensò subito a come soggiogarli. Brutta razza, eh? Per la verità, gli eccidi veri propri li hanno fatti altri, come Hernan Cortes (1485-1547) e George Custer (1839-1876), ma è sempre quella brutta razza. In Africa, poi, la brutta razza ha fatto stermini su stermini, nella maniera più bieca e violenta possibile; l'elenco sarebbe infinito e lo sfruttamento economico dura ancora oggi. Il medico africano che mi disse che i disagi dell'immigrazione di massa dall'Africa in Europa sono la conseguenza ben meritata della colonizzazione aveva ragione: <i>l'è riva' al pagadèbit!</i> </p><p>E infatti si legge un episodio curioso nell'autobiografia del comico sudafricano Trevor Noah <i>Born a Crime</i> (<i>Nato fuori legge: storia di un'infanzia sudafricana</i>, traduzione di Andrea Carlo Cappi, Ponte delle Grazie, 2019): in Sudafrica è normale che i neri chiamino i loro figli (o i loro cani) Hitler. Per loro, Hitler è solo un nome nel libro di storia, il nome di un pericolo tanto grande da costringere l'uomo bianco a chiedere aiuto al nero per sconfiggerlo. In Sudafrica il nome è anche un augurio (<i>nomen omen</i>) e chiamare il proprio figlio (o il proprio cane) Hitler significa confermare il proposito di farlo crescere forte, violento e pronto a difendersi. In fondo, quei milioni di ebrei morti che tanto scandalizzano la razza europea sono meno di quello che la brutta razza ha fatto in Africa e magari, forse pensano là, con qualche altro milione di brutta razza in meno sul groppone si starebbe anche meglio, o se non altro meno peggio; e avrebbero ragione. Un bel vivere, non c'è che dire.</p><p>In conclusione, la brutta razza fa schifo e le altre non sono meglio. E ai buonisti che dicono che esiste solo la razza umana rispondo che quella è la peggiore di tutte e che, se anche avesse tutta un pigmento epidermico unico, sicuramente troverebbe una qualche scusa per dividersi in gruppi ostili e farsi la guerra fino allo sterminio; lo vediamo tutti i giorni, perché lo fa anche adesso. Sarebbe più degno estinguersi e lasciare il pianeta agli scarafaggi, dicono i filosofi del post-umano, che però si guardano bene dal dare l'esempio e morire per primi. Perciò non resta che consolarsi con chi fa meno schifo, cioè con chi cerca di dissipare l'odio delle brutte razze con un po' di scetticismo e di compassione: chi avverte i soldati che alla guida del plotone c'è sempre il nemico (Bertold Brecht), chi mostra l'eccidio del villaggio indigeno americano attraverso gli occhi di un bimbo scioccato e incredulo (Fabrizio De André), chi ha sempre e da sempre il coraggio di parlare di pace anche nelle situazioni più difficili (Papa Francesco). È poi tanto difficile cercare di fare un po' meno schifo? </p><p><br /></p>malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-49805107067381669042021-01-08T10:42:00.005-05:002021-01-10T19:03:53.424-05:00Il marciume su Washington<p>Le notizie sono già ben conosciute, ma oggi, per l'ultima volta, dico la mia. </p><p>L'imbecille col berretto di pelo alla Davy Crockett, le corna e il volto dipinto che s'è fatto ritrarre dalle telecamere nella sala del Senato mi interessa poco e lascio agli italiani residenti in patria il riscontro della somiglianza coi protagonisti delle carnevalate barbariche della Lega Nord. Segnalo solo che si chiama Jake Angeli e che probabilmente appartiene al sostrato italo-amero-fascista da cui Mirko Tremaglia pensava di pescare voti con la sua nota legge. </p><p>Invece, più della manifestazione violenta (comunque grave), mi preoccupa la mancata risposta della polizia, intervenuta solo molto tardi, quando i manifestanti erano già dentro. È vero: è stata colpita a morte una donna che cercava di arrampicarsi per il vano del vetro rotto di una porta che dava alle sale interne. Dal minuto 0:45 di questo video</p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/BrYz-O2TCKQ" width="320" youtube-src-id="BrYz-O2TCKQ"></iframe></div>si capisce bene che si tratta di cecchinaggio. Nessuno aveva intimato l'alt: molto probabilmente il cecchino non voleva farsi riconoscere per paura delle reazioni degli altri manifestanti e, sparando, voleva impedire l'accesso a stanze che, per una qualche ragione andavano protette comunque. Peggio di così...<p></p><p>Peggio di così sarebbe stato possibilissimo: se a manifestare fossero stati i militanti di Black Lives Matter, ci sarebbe stata una carneficina che nemmeno voglio immaginare. C'è qualcosa di profondamente e ineradicabilmente razzista alla base dell'identità americana, bianca ed egemone, che solo con Trump è emersa in tutta la sua violenza. Lascio il paragone col fascismo a chi ne sa più di me e mi limito a osservare che anche durante la marcia su Roma Vittorio Emanuele III non volle firmare il decreto di stato d'assedio, quello che invece era stato firmato nel maggio del 1898 da Antonio di Rudinì durante i moti socialisti a Milano, che autorizzò l'azione militare contro i manifestanti e quindi più di ottanta morti tra i civili. Ai fascisti si spiana sempre la strada e ai socialisti la si sbarra. C'è di che riflettere. </p><p>Dietro il motto <i>Make America Great Again</i> dei berrettini rossi dei seguaci di Trump c'è la voglia di restaurazione del volto egemone, bianco, maschio e capitalista dell'America "una, bianca e santa, come la democrazia." Sì, è solo una canzone italiana ("Shampoo" di Gaber e Luporini), ma sottolinea bene l'immagine dell'America protettrice dell'Europa liberale dalla minaccia sovietica, un'immagine che andava accettata in blocco e non discussa. Oggi, l'immagine è in crisi sia sul fronte interno, dove le cosiddette minoranze etniche cominciano ad acquistare numeri e importanza, sia su quello internazionale, dove, a ridosso di un prestigio culturale ancora saldo (ma manca la legittimazione di un'Europa che comunque conta sempre meno) la supremazia economica difesa per decenni dalle <i>foreign wars </i>scema sempre più. </p><p>Ovvio, l'America sta ricorrendo ai ripari. Trump s'è reso colpevole di sedizione, ma il processo di esautorazione previsto dal venticinquesimo emendamento costituzionale è talmente macchinoso da non poter essere portato a termine prima del prossimo 20 gennaio, data del passaggio effettivo delle consegne. Nel frattempo, i partiti si stanno riorganizzando, come riassume <a href="https://newleftreview.org/sidecar/posts/riot-on-the-hill?fbclid=IwAR1xznP0BzpB0wsEw8vwgRvGY6wMqC-j2REQkuZErM2VVePRfMoJV1lfIEc">l'editorialista Mike Davies</a>. I repubblicani si stanno allontanando da Trump per riavvicinarsi alla grande industria che, dopo aver approfittato dei tagli alle tasse, ha cominciato a prendere le distanze durante il periodo elettorale. Parimenti, i democratici di Biden si sono schierati coi moderati e quindi col grande capitale, tenendo ben lontani dal governo i progressisti seguaci di Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, a cui avevano promesso tanto invano. Si tornerà a un'epoca come gli anni novanta, coi diritti civili difesi a spada tratta, perché tanto costano poco, e quelli sociali trascurati, perché costano soldi, che invece devono restare nelle tasche dei ricchi. E i trumperos faranno fronda e continueranno a ricattare il partito repubblicano per avere le loro concessioni, e Donald Trump in persona li adopererà per il suoi interessi. Non so che cos'altro (mi) resti da dire. </p>malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-66695033405627268532020-04-20T15:23:00.000-04:002020-04-20T15:23:01.826-04:00Cristoforo Colombo in versiPer la prima e ultima volta tradisco l'assunto generale del mio blog di raccontare storielle, ma le tante domande di temi americani da parte degli studenti dell'Università di Urbino mi spinge a pubblicare una mia poesia scritta tre anni fa in seguito ai vandalismi alle tante statue di Cristoforo Colombo negli Stati Uniti. Non ho mai amato la retorica e solo una volta ricordo d'aver partecipato, e di grande malavoglia, alla parata del secondo lunedì di ottobre a New York; ma non credo il povero genovese responsabile di tutte le nefandezze compiute a danni delle popolazioni indigene, come molti sostenevano prima di trovare altre preoccupazioni.<br />
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<br /><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Cristoforo Colombo<br /></span><div>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Non era un eroe<br />e non era un assassino.<br />Era un mercante genovese,<br />Furbone e traffichino,<br />che voleva raggiungere le Indie<br />e, con le spezie, il petrolio di allora,<br />fottere i concorrenti veneziani.<br />Ha sbagliato continente <br />perché con l'astrolabio<br />non si misura la longitudine;<br />oggi lo sappiamo.<br />Ha fatto le idiozie sue, brutte e cattive, <br />ma il grosso è roba d'altri: <br />Cortès, Custer. Sarebbe meglio<br />prendersela con loro. Il casino<br />è che ha fatto credere che il pianeta<br />fosse grande, quando invece <br />è proprio, ma proprio piccolino.<br /><br />E lo dice uno che sta in America.</span></div>
malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-87277562758409044132020-04-20T11:48:00.001-04:002020-04-20T12:09:17.190-04:00Donne al potere e paesi che vai: risposte a Martina Sorrentino, Giulia Radi e Andrea MangiacristianiQuando avevo vent'anni, l'internet non c'era. C'era solo l'edicolante e in quattro compagni d'università compravamo ciascuno un giornale diverso e ce li scambiavamo in aula studio a Palazzo Maldura. I ventenni di oggi sono navigatori infaticabili e s'informano di certo meglio, ma sono a maggior rischio di bufale. Perché? Perché non ci sono pasti gratis, al mondo, quindi i siti gratuiti sono sempre sospetti. Ciononostante, va bene anche leggere <i>Forbes</i>. E passo al dunque.<br />
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Mi scrive Martina Sorrentino che, nelle sue scorribande curiose tra le notizie del mondo (vedo però soprattutto Italia e Stati Uniti, che poi sono anche le mie entità di riferimento), riconosce comportamenti costanti: supermercati svuotati, paura, fuga dalle città infette verso la tranquillità del <i>locus amoenus</i>, che si chiami Sardegna o Hamptons. Forse è vero che tutto il mondo è paese, ma, ancora una volta, meglio leggere il foglio di sbieco. </div>
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Non sono un medievista, ma, da quando leggo il Decameron con una certa regolarità, ho sempre accostato, alla splendida e credibilissima descrizione della peste, la totale improbabilità della fuga in campagna delle sette ragazze e dei tre giovanotti: nel Trecento certe cose non capitavano. L'idea della sana vita di campagna è frutto di secoli di egemonia culturale urbana, in cui l'epidemia è l'unico freno alle attività della città, da Boccaccio a Manzoni ("Scappa, scappa, untorello. Non sarai tu che spianti Milano") e Moravia ("L'epidemia", da <i>Racconti surrealistici e satirici</i>). Ergo: occhio all'immaginario, perché spesso prende il posto del reale. </div>
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Andrea Mangiacristiani ha ragione quando scrive che Forbes Magazine tira un po' un colpo al cerchio e uno alla botte, perché da un lato elogia Erna Solberg, che, rivolgendosi ai bambini, ha aiutato tanti genitori a gestire tante crisi familiari, dall'altro non nomina nemmeno il robusto <i>welfare</i> che sta alla base del sistema Norvegia. A me, che leggo sempre di sbieco, irrita, ma non sorprende, che l'araldo del neo-liberismo deifichi la mamma di Stato e non parli dello Stato-Stato, o addirittura che pontifichi che <a href="https://www.forbes.com/sites/enriquedans/2020/04/13/the-coronavirus-pandemic-has-unleashed-a-revolution-in-education-from-now-on-blended-learning-will-be-the-benchmark/?fbclid=IwAR0PtHIVKcAYkwiGPPbjLLd_mRzesUkT-raZBQchAXLzBK8GqZC3TMMaOQU#46269478536f">l'insegnamento online debba diventare il nuovo standard didattico</a>, tanto per allargare il parco degli studenti-clienti-paganti. Ogni crisi è buona per riorganizzare la scacchiera; ed Erna Solberg è conservatrice: avrà la stessa empatia per gli operai adulti? Il fatto è che le riorganizzazioni avvengono sempre dall'alto, da chi ha posizioni di privilegio e, come dice un noto mafioso della letteratura, cammina sulle corna degli altri.</div>
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Sulla sensibilità collettiva dei paesi asiatici scrive invece Giulia Radi, vedendo in Taiwan e nella Cina comportamenti più responsabili socialmente e attribuendoli alle culture più attente all'intero corpo sociale e meno alla persona. Le rispondo che il confine tra responsabilità collettiva e libertà individuale è da negoziare ogni volta e con decisa determinazione. Conosco poco la Cina, ma quando l'industria cinese Fuyao ha aperto la fabbrica a Dayton, Ohio, rilevando gli stabilimenti chiusi della General Motors, s'è capito bene il conflitto tra la cultura della partecipazione individuale degli operai americani e quella dell'autorità indiscussa e della conformazione al tutto (gestito poi dalle autorità) dei padroni cinesi. Ne parla il documentario <a href="https://www.youtube.com/watch?v=m36QeKOJ2Fc">American Factory</a>, disponibile su <a href="https://www.netflix.com/title/81090071">Netflix</a>. Né mi sorprende l'app che controlli gli spostamenti delle persone, anche perché mi dicono che la Cina sia una dittatura. Mi sorprende invece che questa app di controllo, senza il minimo scopo terapeutico, sia stata accettata in Italia, dove, non contenti degli arresti domiciliari della popolazione, si è arrivati al controllo capillare e alla distruzione delle libertà individuali. Avremo un potere centrale che saprà in quale cesso andremo a pisciare, ma non sarà in grado di fare niente se ci saremo ammalati; e magari ne sarà addirittura lieto. </div>
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Infamia, inganno e tradimento: a una certa età, tutto il mondo è Pavese.</div>
malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-54084237221714904232020-04-18T13:21:00.001-04:002020-04-19T09:15:15.899-04:00La vergogna di Trump e le nazioni sessuate: risposte a Giulia Radi e Marco Casanova<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Oggi rispondo alle ultime lettere degli studenti dell'Università degli Studi di Urbino. Giulia Radi scrive che, secondo lei, è una vergogna che il Presidente Trump non si adoperi sino in fondo per la salvezza dei suoi cittadini. Rispondo, in sintesi, che, nonostante le sue tante vergogne, Trump incarna comunque lo spirito del capitalismo di frontiera, per cui ogni cosa va trasformata in denaro: "Fiat munus, pereat mundus". È il crimine che la storia americana perpetra da secoli: sfruttare il mondo per trarne un guadagno. Anche oggi, chi ha fatto incetta di mascherine e salviette disinfettanti e le vende in internet a dieci volte il prezzo non viene punito a norma di legge, ma trattato da libero imprenditore. </span><br />
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Chi ha eletto Trump, nel 2016, s'era sentito abbandonato e tradito da un establishment sempre più lontano dal proletariato e sempre più borghese, in totale sintonia con l'idea dell'accumulo di capitale come segno di merito individuale e quindi predestinazione alla salvezza eterna, nell'incrocio di calvinismo e capitalismo che Max Weber spiega meglio di me. Chi lo vuole eleggere ora pensa che il Covid-19 sia una gran balla fatta apposta per controllare la gente e togliere le libertà costituzionali, come molti credono anche in Italia (vecchi giornalisti, giovani filosofi) che ritengono Trump il grande eroe che combatte la cospirazione mondiale guidata da Bill Gates, grande arci-architetto della pandemia attuale. Ci vorrebbe un po' di igiene mentale, ma non c'è. </span></span><br />
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Marco Casanova mi scrive una lettera molto complessa in cui esprime il suo punto di vista sugli attuali stili di governo delle nazioni affette dalla pandemia applicando le teorie di Geert Hofstede e incrociando le identità maschili / femminili dei vari paesi del mondo secondo le <a href="https://geerthofstede.com/culture-geert-hofstede-gert-jan-hofstede/6d-model-of-national-culture/">sei dimensioni della cultura nazionale</a> e l'identità di genere psicofisiologica (cis-gender) dei capi di governo. Non so che rispondere, se non che apprezzo l'ipotesi e invito Marco Casanova a sviluppare il suo assunto in un articolo di buona letteratura scientifica, di cui è di certo capace. </span></span><br />
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Ecco, però: io forse sono interessato ad altro e l'ho scoperto in questi giorni nella pagina Facebook della mia collega Nadia Urbinati di scienze e filosofie politiche della Columbia University. In un suo post, Nadia commentava che sicuramente i vari governanti, scienziati e quant'altro faranno a gara su chi aprirà prima le strutture produttive e amministrative o su chi inventerà il vaccino per primo, cioè chi si mostrerà più efficiente. Nelle tante repliche, io osai contraddire addirittura Adriana Cavarero, una delle filosofe fondanti del pensiero della differenza sessuale in Italia. Riporto botta e risposta:</span></span><br />
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><a aria-describedby="u_7a_1" aria-owns="" class="_6qw4" data-hovercard="/ajax/hovercard/user.php?id=1019940230&extragetparams={"directed_target_id": " "}" href="https://www.facebook.com/adriana.cavarero?comment_id=Y29tbWVudDoxMDE1ODUwNDY1MTk3Mjk0MV8xMDE1ODUwNDY2MzgxNzk0MQ%3D%3D" id="js_7ta" style="background-color: #f2f3f5; color: #385898; cursor: pointer; font-size: 13px; font-weight: 600; text-decoration-line: none;">Adriana Cavarero</a><span style="background-color: #f2f3f5; color: #1c1e21; font-size: 13px;"> </span><span dir="ltr" style="background-color: #f2f3f5; color: #1c1e21; font-size: 13px;"><span class="_3l3x">E’ un atteggiamento tipico dei maschi: può sembrare una banalità ma c’è un’ampia letteratura scientifica su questa fenomenologia.</span></span></span></span><br />
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span dir="ltr" style="background-color: #f2f3f5; color: #1c1e21; font-size: 13px;"><span class="_3l3x"><span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></span></span>
<span dir="ltr" style="background-color: #f2f3f5; color: #1c1e21; font-size: 13px;"><span class="_3l3x"><span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><a aria-describedby="u_7g_1" aria-owns="" class="_6qw4" data-hovercard="/ajax/hovercard/user.php?id=524046405&extragetparams={"directed_target_id": " "}" href="https://www.facebook.com/andrea.malaguti.33?comment_id=Y29tbWVudDoxMDE1ODUwNDY1MTk3Mjk0MV8xMDE1ODUwNDY4OTcyMjk0MQ%3D%3D" id="js_7zk" style="color: #385898; cursor: pointer; font-weight: 600; text-decoration-line: none;">Andrea Malaguti</a> <span dir="ltr"><span class="_3l3x">È un atteggiamento tipico dei maschi coglioni. Può sembrare una banalità, ma ci sono secoli di saggezza sommersa in merito.</span></span></span></span></span></span><br />
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Sono sicurissimo che Adriana Cavarero ha ragione, ma alla letteratura scientifica preferisco la saggezza sommersa. Dev'essere l'età...</span><br />
<br />malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-54995124562177001782020-04-15T08:52:00.002-04:002021-01-08T12:21:14.440-05:00Uomini e donne al potere: risposta a Giulia EugaddiMi scrive oggi Giulia Eugaddi, dell'Università di Urbino:<br />
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According to Forbes, the pandemic going on around the world nowadays seems to be more controlled in some areas of the world where roles of power are covered by women, and it’s not a coincidence.</i><br />
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<i>Scientific data show that women have an alternative style of leadership compared to men, based on collaboration and harmony. Therefore, they don’t obtain respect by blaming others for their mistakes, preferring to emphasize collaboration rather than conflict. This new style of leadership is in stark contrast with the general assumption that successful women cover top management positions just because they are emulating men, pointing out, especially in humanitarian emergencies, how this alternative way of problem-solving performs extremely well.</i><br />
<i><br /></i>
<i>In particular, this article is showing us that several countries in northern Europe such as Finland, Norway or Germany, and some others in the opposite part of the world, like New Zealand and Taiwan have in common just one thing: women leaders. Indeed, what these female-driven governments did was to promptly put into action effective policies to prevent their citizens from getting sick and simultaneously communicate to all the members of the society, starting from kids, how to stay safe during the pandemic.</i><br />
<i><br /></i>
<i>Genuinely, an opposite decisional process compared to men leaders such as Trump or Bolsonaro, that have opted for an aggressive strategy that seems not to be working so well, especially in the US where the number of infected people is increasing. (see Trump’s reaction to Fauci’s comments about the virus)</i><br />
<i><br /></i>
<i>Witnessing the process of women making the first step in the historically male-dominated fields such as politics, make us hope that gender disparities will disappear in the foreseeable future in order to create an equal society able to understand the positive aspects of each gender.</i><br />
<i><br /></i>
<i>“Leadership is based on elements such as intelligence, curiosity, empathy and integrity. Qualities that have nothing to do with gender”</i><br />
<i><br /></i>
<i>Resources:</i><br />
<i><br /></i>
<a href="https://hbr.org/2020/04/7-leadership-lessons-men-can-learn-from-women"><i>https://hbr.org/2020/04/7-leadership-lessons-men-can-learn-from-women</i></a><br />
<i><br /></i>
<a href="https://www.forbes.com/sites/avivahwittenbergcox/2020/04/13/what-do-countries-with-the-%20%20best-coronavirus-reponses-have-in-common-women-leaders/#556074a3dec4"><i>https://www.forbes.com/sites/avivahwittenbergcox/2020/04/13/what-do-countries-with-the- best-coronavirus-reponses-have-in-common-women-leaders/#556074a3dec4</i></a><br />
<br />
Intanto, devo subito segnalare un'inesattezza: non ci sono dati scientifici a definire lo stile femminile di gestione del potere, ma solo valutazioni anche attente e per molti versi corrette dei giornalisti di Forbes. Quindi non c'è niente di incontrovertibile (né di falsificabile, direbbe Popper). Vero: le donne al potere hanno dichiarato uno stile molto più adatto e consono all'emergenza Covid-19 rispetto ad altri uomini al potere.<br />
<br />
Il problema è che il condivisibilissimo pistolotto finale, cioè che le qualità fondamentali di un leader, (intelligenza, curiosità, empatia e integrità) siano equamente distribuite tra uomini e donne, è in chiara contraddizione con le tesi (altrettanto condivisibili) degli articoli, cioè che le donne dimostrino queste qualità e gli uomini no. Potrei rispondere che, quarant'anni fa, a spingere sul pedale dello stoicismo e dell'individualismo ("society does not exist") era proprio una donna, <a href="https://en.wikipedia.org/wiki/Margaret_Thatcher">Margaret Thatcher</a>, che uscì dall'ombra sconfiggendo <i>con l'esercito</i> le pretese argentine sulle Isole Falkland e convincendo così del proprio valore e soprattutto della propria determinazione il conservatore maschilista <a href="https://en.wikipedia.org/wiki/Enoch_Powell">Enoch Powell</a>, un Trump che conosceva il greco antico.<br />
<br />
Risponderò invece che la tesi implicita (e in sé condivisibile) che ci vorrebbero più donne al potere va raffinata. In realtà, le donne non mancano; e non tutte si comportano come vorrebbero far credere gli articoli. Sarah Huckabee Sanders, già addetto stampa di Trump, e Betsy DeVos, ministro (ministra, se volete) dell'istruzione sono borghesi e razziste quanto il loro capo di gabinetto, se non peggio. E io non mi sono mai fidato nemmeno di Hilary Clinton.<br />
<br />
È altrettanto vero, però, che c'è un razzismo e un sessismo residuale fortissimi e che almeno dall'epoca dell'amministrazione Reagan (la controparte americana di Margaret Thatcher) l'idea del potere s'è avviluppata sul modello del sopruso violento. Trump è stato eletto proprio perché nel suo show televisivo "The Apprentice", dava corpo proprio al capetto-kapo facile al sopruso e al mettere i suoi dipendenti l'uno contro l'altro, dandola vinta a chi faceva la voce più grossa e aveva il coraggio di essere violento. Chiunque abbia una pratica minima anche solo di lavoro di gruppo sa benissimo che si va avanti a sforzi collettivi e non a rivalità interne; ma la lotta di tutti contro tutti risponde alle paure più recondite di una cultura che vede nelle armi un bene di rifugio e nel maschio armato il baluardo estremo a difesa di quella che Giorgio Agamben chiama "vita nuda".<br />
<br />
Il comportamento di Donald Trump, purtroppo, non ha spinto gli americani ad esaminare il loro subconscio e a fare i conti con la violenza originaria da cui sono sorti, cioè il genocidio delle popolazioni indigene in virtù (lo dicevo anche rispondendo a Sara Quaranta) di un <a href="https://en.wikipedia.org/wiki/Manifest_destiny">destino manifesto</a> della nazione americana, che doveva espandersi verso ovest. Chissà perché, a me il falso biondo di Trump ricorda la chioma iconica del Generale Custer, uno degli uomini più crudeli della storia. Però questo è un altro capitolo.malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-22568875169255806782020-04-11T14:32:00.000-04:002020-04-19T15:23:26.489-04:00Tradire i padri fondatori: risposta a Sara QuarantaRispondo pubblicamente alle osservazioni di Sara Quaranta, studentessa di letteratura e cultura angloamericana dell'Università di Urbino, pervenutemi a mezzo della Professoressa Alessandra Calanchi:<br />
<br />
<i>Today, on reading some newspapers online, I was very impressed by the news coming from the USA: in Hart Island, near the Bronx, there are mass graves that are used to bury the bodies of those who can't afford a place at the cemetery. We are living in an unreal time but unfortunately it's all true, many people are losing their lives, including those who save human lives, the doctors; it is the proof that no one escapes from this virus. The United States is the most affected country and sadly the economic factor is making the situation worse; in fact, not everyone has health insurance and for this reason many people will not be able to face the necessary treatment to recover from Covid-19. A 17-year-old boy in California died because he did not have health cover and doctors refused to treat him. </i><i>These events made me understand two things: the first one is that we Italians should all be less angry with our country, because despite the political-economic problems, we have one important thing: the possibility of receiving treatments thanks to Public Health. It seems a small thing, but it is not! The second thing is that the Americans in the next presidential elections should elect a President who can guarantee them this right, which in my opinion is a human right that ensures human dignity. In the Declaration of Independence there was written: "We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are endowed by the Creator with certain unalienable Rights, that among these are LIFE, LIBERTY and the pursuit of HAPPINESS. This means that the Founding Fathers had a very different image of America than the one it is today; more inclusive, more egalitarian and above all more RIGHT. Life, Liberty and HAPPINESS is everything that every human being hopes to have; they are fundamental rights<span style="font-size: x-small;">.</span></i><br />
<br />
Riassumo per i pochi che non leggono l'inglese (buono, peraltro) della nostra Sara: di fronte alle fosse comuni di Hart Island, l'isola a est del Bronx dove trovano sepoltura gli indigenti senza famiglia né sostentamento, e al rifiuto delle cliniche private di curare il diciassettenne californiano, dirottato verso i rari ospedali pubblici e quindi morto nel tragitto in ambulanza, gli italiani dovrebbero apprezzare l'accesso alla loro sanità pubblica e incondizionata e dall'altro gli americani dovrebbero votare per un presidente che gli garantisse un pari diritto. Perché, aggiunge, l'America ha tradito lo spirito della sua costituzione, che dovrebbe garantire il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità.<br />
<br />
Cara Sara, su tutto quello che dici trovi tanti, tanti americani d'accordo con te; lo sono anch'io sulla sanità pubblica italiana (ho avuto un padre medico ospedaliero a tempo pieno) e sulla necessità di qualcuno di diverso alla Casa Bianca. Però, se ogni tentativo di rendere pubblico il sistema sanitario americano è fallito, forse la ragione si trova proprio nelle parole della costituzione. Ogni tanto bisogna leggere tenendo il foglio di sbieco, come nel quadro di Hans Holbein <a href="https://artsandculture.google.com/asset/the-ambassadors/bQEWbLB26MG1LA?hl=en">"Gli ambasciatori" (1533)</a>, in cui la massa informe e sospesa in basso sfugge alla nostra comprensione; ma, se guardiamo la massa di sbieco, appunto, ci accorgiamo che è un teschio. Se poi guardiamo gli altri elementi del quadro, ci accorgiamo che al liuto mancano le corde e che tanti degli strumenti sullo scaffale più alto sono rovesciati. Insomma, la missione degli ambasciatori è fallita.<br />
<br />
Leggendo di sbieco proprio le frasi della costituzione americana, bisogna tenere conto di una premessa sottintesa: "Per noi, non per gli altri". La vita, certo, perché in Inghilterra c'era ancora la pena di morte e si finiva impiccati; ma a passare per le armi gli indigeni del continente americano, i padri pellegrini non ci hanno pensato un attimo. La libertà, ma gli schiavi africani erano rapiti, comprati e venduti. E la ricerca della felicità, che poi si riduce al benessere materiale, anche a costo di sottrarre risorse agli altri o alla natura; tanto, la frontiera è ampia e di spazio ce n'è. L'America ha una missione nel mondo e un <a href="https://en.wikipedia.org/wiki/Manifest_destiny">destino manifesto</a>: il west va conquistato e coltivato, dando a ogni contadino dell'est il suo pezzetto di terra e decimando le nazioni indiane e riducendo i superstiti alle poche miglia quadrate delle riserve.<br />
<br />
"Per noi, non per gli altri" è il ritorno del represso che oggi si trova in forma di reale nella politica americana attuale, divisa tra chi chiede di essere riconosciuto come partecipante al dibattito democratico e chi invece difende i privilegi ereditati come diritti acquisiti per merito. È impensabile pensare che le due parti non siano in conflitto, oggi, visto che lo erano anche ai tempi dei <i>Founding Fathers</i>.malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-63132928808801753422020-03-27T11:17:00.000-04:002020-03-27T11:20:08.583-04:00Come siamo messiCome tutti sanno, il numero dei contagi riscontrati negli Stati Uniti ormai supera gli ottantamila. Il centro dell'epidemia del Coronavirus è qui. Sarà come in Italia? Difficile a dirsi. Il territorio degli Stati Uniti è molto meno densamente popolato, quindi è più facile distanziarsi, che è in sostanza la soluzione fondamentale. È molto meno sicuro un autobus pieno di gente che un parco dove ci si muove. All'idea di Trump di tornare al lavoro dopo Pasqua ci s'indigna o si sorride. Io stesso, nella mia totale disistima, penso che la boutade sia solo un espediente per contenere gli allarmi in borsa; ma di economia so pochissimo (e sarebbe ora che mi documentassi di più, lo so). Non ho altro da dire, per ora. <br />
<br />
Prima di salutarvi, pubblico la tabellina dei suggerimenti del New York Times, che è l'indice essenziale della situazione americana e delle reazioni istituzionali; mi sembrano suggerimenti molto sensati e possono valere non solo per gli americani.<br />
<br />
<ul class="g-inlineguide-list">
<li>
<h2 class="g-inlineguide-list-header g-optimize-type">
Answers to Your Frequently Asked Questions</h2>
<div class="g-inlineguide-date">
Updated March 24, 2020</div>
<ul class="g-inlineguide-item-list g-inlineguide-list-circle" id="g-inlineguide-item-list">
<li>
<h4>
<b>How does coronavirus spread?</b></h4>
It seems to spread <a href="https://www.nytimes.com/interactive/2020/03/22/world/coronavirus-spread.html?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq">very easily from person to person,</a>
especially in homes, hospitals and other confined spaces. The pathogen
can be carried on tiny respiratory droplets that fall as they are
coughed or sneezed out. It may also be transmitted when we touch a
contaminated surface and then touch our face.<br />
</li>
</ul>
<ul class="g-inlineguide-item-list g-inlineguide-list-circle" id="g-inlineguide-item-list">
<li>
<h4>
<b>Is there a vaccine yet?</b></h4>
No. <a href="https://www.nytimes.com/2020/03/19/us/politics/coronavirus-vaccine-competition.html?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq">The first testing in humans of an experimental vaccine began in mid-March.</a>
Such rapid development of a potential vaccine is unprecedented, but
even if it is proved safe and effective, it probably will not be
available for 12 to18 months.<br />
</li>
</ul>
<ul class="g-inlineguide-item-list g-inlineguide-list-circle" id="g-inlineguide-item-list">
<li>
<h4>
<b>What makes this outbreak so different?</b></h4>
Unlike the flu, there is no known treatment or vaccine, and <a href="https://www.nytimes.com/article/what-is-coronavirus.html?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq">little is known about this particular virus so far.</a>
It seems to be more lethal than the flu, but the numbers are still
uncertain. And it hits the elderly and those with underlying conditions —
not just those with respiratory diseases — particularly hard.<br />
</li>
</ul>
<ul class="g-inlineguide-item-list g-inlineguide-list-circle" id="g-inlineguide-item-list">
<li>
<h4>
<b>What should I do if I feel sick?</b></h4>
<a href="https://www.nytimes.com/2020/03/22/well/what-if-i-have-coronavirus.html?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq">If you’ve been exposed to the coronavirus or think you have,</a>
and have a fever or symptoms like a cough or difficulty breathing, call
a doctor. They should give you advice on whether you should be tested,
how to get tested, and how to seek medical treatment without potentially
infecting or exposing others.<br />
</li>
</ul>
<ul class="g-inlineguide-item-list g-inlineguide-list-circle" id="g-inlineguide-item-list">
<li>
<h4>
<b>How do I get tested?</b></h4>
If you’re sick and you think you’ve been exposed to the new coronavirus, <a href="https://www.nytimes.com/2020/03/22/well/what-if-i-have-coronavirus.html?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq">the C.D.C. recommends that you call your healthcare provider and explain your symptoms and fears. </a>They
will decide if you need to be tested. Keep in mind that there’s a
chance — because of a lack of testing kits or because you’re
asymptomatic, for instance — you won’t be able to get tested.<br />
</li>
</ul>
<ul class="g-inlineguide-item-list g-inlineguide-list-circle" id="g-inlineguide-item-list">
<li>
<h4>
<b>What if somebody in my family gets sick?</b></h4>
If the family member doesn’t need hospitalization and
can be cared for at home, you should help him or her with basic needs
and monitor the symptoms, while also keeping as much distance as
possible, <a href="https://www.nytimes.com/2020/03/22/well/what-if-i-have-coronavirus.html?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq">according to guidelines issued by the C.D.C.</a>
If there’s space, the sick family member should stay in a separate room
and use a separate bathroom. If masks are available, both the sick
person and the caregiver should wear them when the caregiver enters the
room. Make sure not to share any dishes or other household items and to
regularly clean surfaces like counters, doorknobs, toilets and tables.
Don’t forget to wash your hands frequently.<br />
</li>
</ul>
<ul class="g-inlineguide-item-list g-inlineguide-list-circle" id="g-inlineguide-item-list">
<li>
<h4>
<b>Should I wear a mask?</b></h4>
No. Unless you’re already infected, or caring for someone who is, <a href="https://www.nytimes.com/article/face-masks-coronavirus.html?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq">a face mask </a><a href="https://www.nytimes.com/article/face-masks-coronavirus.html?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq">is not recommended.</a>
And stockpiling them will make it harder for nurses and other workers
to access the resources they need to help on the front lines.<br />
</li>
</ul>
<ul class="g-inlineguide-item-list g-inlineguide-list-circle" id="g-inlineguide-item-list">
<li>
<h4>
<b>Should I stock up on groceries?</b></h4>
Plan two weeks of meals if possible. But people should not hoard food or supplies. Despite the empty shelves, <a href="https://www.nytimes.com/2020/03/15/business/coronavirus-food-shortages.html?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq">the supply chain remains strong.</a> And remember to wipe the handle of the grocery cart with a disinfecting wipe and wash your hands as soon as you get home.<br />
</li>
</ul>
<ul class="g-inlineguide-item-list g-inlineguide-list-circle" id="g-inlineguide-item-list">
<li>
<h4>
<b>Can I go to the park?</b></h4>
Yes, but make sure you keep six feet of distance between you and people who don’t live in your home. <a href="https://www.nytimes.com/2020/03/19/well/move/coronavirus-covid-exercise-outdoors-infection-fitness.html?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq">Even
if you just hang out in a park, rather than go for a jog or a walk,
getting some fresh air, and hopefully sunshine, is a good idea.</a><br />
</li>
</ul>
<ul class="g-inlineguide-item-list g-inlineguide-list-circle" id="g-inlineguide-item-list">
<li>
<h4>
<b>Should I pull my money from the markets?</b></h4>
<a href="https://www.nytimes.com/2020/02/26/your-money/stock-market-changes-virus.html?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq">That’s not a good idea.</a>
Even if you’re retired, having a balanced portfolio of stocks and bonds
so that your money keeps up with inflation, or even grows, makes sense.
But retirees may want to think about having enough cash set aside for a
year’s worth of living expenses and big payments needed over the next
five years.<br />
</li>
</ul>
<ul class="g-inlineguide-item-list g-inlineguide-list-circle" id="g-inlineguide-item-list">
<li>
<h4>
<b>What should I do with my 401(k)?</b></h4>
Watching your balance go up and down can be scary. <a href="https://www.nytimes.com/2020/03/07/your-money/target-date-funds-stock-market.html?action=click&pgtype=Article&state=default&module=styln-coronavirus-world&variant=show&region=BELOW_MAIN_CONTENT&context=storyline_faq">You may be wondering if you should decrease your contributions — don’t!</a>
If your employer matches any part of your contributions, make sure
you’re at least saving as much as you can to get that “free money.”<br />
<br /></li>
</ul>
</li>
</ul>
malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-71067114283204394252020-03-21T00:02:00.000-04:002020-03-21T12:22:25.880-04:00Scaffali vuoti agli HamptonsAvere di fronte a casa un supermercato che vende il pane fresco mi ha un po' viziato: ogni due giorni mi posso permettere una pagnotta casereccia. Oggi, però, dietro la panetteria, al reparto frutta, ho trovato gli scaffali delle banane completamente vuoti. Capisco fare incetta di salviette e disinfettanti, ma di banane? Ho chiesto all'impiegato intento all'inventario, che mi ha risposto che la gente compra tutto quello che può. Ormai si vende in un giorno quanto in tempi normali si vendeva in tre. Sono quindi diventati difficili gli approvvigionamenti, perché se si ordina troppo la rete della distribuzione salta. Si cerca quindi il compromesso ogni volta, anche se restano vuoti tanti scaffali: banane, pasta, riso, ecc.<br />
<br />
Long Island, in questo momento, però, se la passa anche peggio. Long Island è la parte della penisola a sud di Manhattan che, dopo Brooklyn e Queens, si protende verso est. Nella parte orientale, la penisola si biforca in due tronconi. Nel troncone meridionale, da Westhampton alla punta estrema di Montauk, hanno la loro residenza estiva, dove di solito trascorrono luglio, agosto e a volte parte di settembre, le famiglie facoltose dell'alta borghesia di Manhattan. Il turismo altolocato fa da volano all'economia locale, fatta, in sostanza, di servizi: ristoranti, negozi, bar e altre attività commerciali gestite da residenti locali che, ovviamente, vivono nelle cittadine di Long Island dodici mesi all'anno. È chiaro che i servizi essenziali per i residenti permanenti sono programmati sul loro consumo modesto di classe medio-bassa e di ranghi ridotti.<br />
<br />
Di recente, però, tanti altolocati di Manhattan sono riusciti a sfuggire al <i>lockdown</i> della penisola e, rifugiatisi nelle case estive, spesso hanno piratato i servizi della popolazione locale, per decenni trattata come sottoposti o dipendenti, come racconta il servizio del <a href="https://nypost.com/2020/03/19/we-should-blow-up-the-bridges-coronavirus-leads-to-class-warfare-in-hamptons/?utm_source=facebook_sitebuttons&fbclid=IwAR0P0BCKlNPOClOGWj9VjAVAVdbLkGGKSADOcwutTBAs3lFbEGsnvbEPfMI">New York Post.</a> Una signora, consapevole di essere infetta da Coronavirus e contravvenendo all'ordine di non lasciare la città, ha raggiunto Southampton e ha chiesto assistenza e ricovero a un ospedale minuscolo, con 125 posti letto di cui solo otto di terapia intensiva. Altri sono arrivati in aeroplano. A Manhattan avrebbero trovato un'assistenza migliore, ma la sindrome da fuga era irrefrenabile.<br />
<br />
L'invasione è cominciata la settimana scorsa, racconta sempre il <a href="https://nypost.com/2020/03/19/we-should-blow-up-the-bridges-coronavirus-leads-to-class-warfare-in-hamptons/?utm_source=facebook_sitebuttons&fbclid=IwAR0P0BCKlNPOClOGWj9VjAVAVdbLkGGKSADOcwutTBAs3lFbEGsnvbEPfMI">New York Post</a>, quando ha raggiunto gli Hamptons (Westhampton, Southampton, Easthampton) e Montauk un'orda di SUV carichi di cibarie. I loro proprietari abbienti hanno quindi fatto incetta di congelatori di dimensioni enormi. Dopo di che, è cominciata la razzia nei supermercati, a carrettate di cibo da ottomila dollari a botta, lasciando gli scaffali vuoti, <a href="https://nypost.com/2020/03/18/chic-hamptons-food-stores-ransacked-by-the-wealthy-amid-coronavirus-pandemic/">riferisce sempre il New York Post.</a> È uno sconcio, commentano tanti, quando ci sono i vecchi che campano con gli assegni e i buoni della Social Security e si trovano senza poter comprare niente da mangiare. Perché negli Hamptons, per quanto famosi per il turismo altolocato, abita anche tanta gente povera; e qualcuno di loro addirittura nei <i>trailerpark</i>, gli stazionamenti permanenti delle roulotte e dei caravan.<br />
<br />
Gli abbienti, però, sembrano pronti a tutto, pur di fuggire alla paura del Coronavirus. Appena annunciata la chiusura delle scuole private di Manhattan, le culle dell'alta borghesia newyorkese, agli Hamptons sono piovute le richieste d'affitto immediato di case e ville, senza badare a spese. Tra le richieste, c'è quella della piscina riscaldata: se fuori ci sono 28 gradi Farenheit (-3 gradi centigradi), l'acqua deve arrivare a 88 (31 centigradi). Tra i ricchi c'è voglia di far festa, come all'epoca del Grande Gatsby, che però andò a finir male (e va detto che finì male anche il suo autore, Francis Scott Fitzgerald, che si sentiva un po' Gatsby anche lui); e se vanno a finir male loro?<br />
<br />
Pare però che i poveri locali abbiano una risorsa che ai predatori esterni manca: la solidarietà degli altri. Fuori stagione, baristi e camerieri aiutano gli anziani come possono. E poi, cosa che il New York Post non dice, ma lo so io, gli abitanti del luogo sono più simpatici. Tanti anni fa, sono andato anch'io in vacanza a Montauk, cinque giorni ad agosto, e ricordo i camerieri e la gente del posto molto più simpatica e molto meno tronfia dei borghesoni che pensavano d'aver diritto a tutto. Le sperequazioni sono sempre dannose. malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-80095423039430466722020-03-19T12:03:00.002-04:002020-03-19T16:21:15.739-04:00Il necessarioOra che chiudono temporaneamente bar e ristoranti, che comunque servono ancora pasti da asporto, riapre altrettanto temporaneamente (pero quien sabe?) <i>America al bar</i>. Come ho già detto altre volte, non aspettatevi il commento autorevole ai fatti del giorno, perché quello è il compito dei corrispondenti dei giornali. Queste sono solo note di vita quotidiana e osservazioni "dal basso" (in molti sensi, compreso quello di appartamento abusivo a pianterreno della Napoli di Giuseppe Marotta ed Eduardo De Filippo, se vi piace) sulle reazioni all'emergenza Coronavirus. <br />
<br />
Vero: chi cerca salviette disinfettanti, mascherine, fazzoletti, carta igienica e disinfettanti, rischia di trovarsi con gli scaffali vuoti. Ieri sera, al punto vendita della <a href="https://www.target.com/">Target</a>, il commesso mi ha detto che la prossima partita di salviette disinfettanti sarebbe arrivata solo il giorno dopo, cioè oggi, alle cinque e mezza del mattino. Perciò, mi consigliava di ordinarle in rete alle 5,46 e quindi di ritirarle alle otto, ora di apertura del negozio. Ammetto: non l'ho fatto. Sono andato qui vicino alla <a href="https://www.cvs.com/">CVS</a> (altro punto di una catena di grande distribuzione) e anche lì erano finite; ma c'era il Lysol liquido, che basta spruzzare sul panno-carta per pulire con eguale efficacia.<br />
<br />
Per la verità, negli Stati Uniti il sistema della distribuzione lascia spesso a desiderare. Per i vestiti, devi sempre approvvigionarti mesi prima, perché i negozi non fanno magazzino ed esauriscono lo stock in fretta. Se hai bisogno di un maglione a febbraio, ti accorgi che ci avresti dovuto pensare a settembre o ottobre, perché sui banchi ci sono solo le rimanenze fuori taglia (sono rari gli americani 'small' e confesso di essere 'large' anch'io, ma da sempre) e a volte già le magliette estive.<br />
<br />
È però anche vero che, ora come ora, le catene della grande distribuzione si stanno adoperando a fondo per provvedere i generi di prima urgenza per tutti e per razionalizzarne le vendite. Guanti isolanti, alcool e salviette vanno a ruba, ma ogni punto vendita ha messo una quota tassativa a questi generi: non più di una confezione per acquirente. Non so bene chi l'abbia stabilito, se lo Stato, la ditta distributrice o il negozio stesso; ma è una norma sensata e i commessi sono obbligati a farla rispettare, anche a costo di dover gestire le frustrazioni e gli umori difficili dei clienti.<br />
<br />
Sono vuoti anche gli scaffali della farina e dello zucchero. Forse gli americani non si fidano più dei panettieri e dei pasticcieri; oppure, credo io, forse pensano, non senza ragione, che preparare le cose in casa possa diventare un bel passatempo per tutta la famiglia, visto che bisogna stare in casa e lavarsi ossessivamente le mani. Almeno si sta insieme e i bimbi imparano a fare qualcosa. E poi il pane di casa ha sempre un gusto diverso: "c'me 'na ciòpa fata in ca'", dicevano i versi nel dialetto di Bondeno di Luciana Guberti. Peraltro, con una certa sorpresa ho saputo che nel Massachusetts ci sono tanti immigrati dall'Emilia: Malaguti, Bulgarelli... Mi riprometto di indagare a fine epidemia. <br />
<br />
No, qui non c'è la polizia per strada a monitorare chi va dove e perché, e ciò è una bella fortuna; ma noi americani stiamo fermi e non ci muoviamo più dello strettissimo necessario. Certo, coi test che scarseggiano e che non si sa bene dove cercare (un mio conoscente è stato mandato dal medico di base all'ospedale centrale e quindi dall'ospedale centrale al medico di base), qualche volta ci sembra di essere nelle mani... dei commessi!malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-86158860305749010002016-11-18T23:36:00.002-05:002017-08-20T22:27:07.609-04:00La farsa (e l'addio)C'era una volta (e forse c'è ancora), un senzatetto nero
simpaticissimo con cui mi fermavo spesso a parlare sulla Broadway,
all'altezza della 116a, vicino alla Columbia University, di fronte a un
supermercato (che invece probabilmente non c'è più) nel quale ogni tanto
gli compravo un cappuccino o altro. Un giorno parlavamo di politica e
lo sentii dire il peggio possibile del Partito Democratico; quando
terminò e io gli chiesi che cosa pensava del Partito Repubblicano, mi
rispose con una smorfia di disgusto e un gesto brusco della mano:
"Republicans are a joke!", che traduco liberamente (ma in fedeltà di
spirito): i repubblicani sono una farsa.<br />
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Lascio
all'informazione accreditata di analisti e politologi il commento
autorevole. Dico solo che, dopo l'elezione di Donald Trump alla Casa
Bianca, molti suoi sostenitori si sentiranno autorizzati a scaricare la
loro rabbia repressa contro gente come il mio amico senzatetto e a picchiarli a sangue. "Dategli una
bella ripassatina," gridava il falso biondo Donald dagli spalti dei
suoi comizi: "Se finite in tribunale, pago le spese io." E infatti ai raduni di Trump era normale insultare e pestare gli oppositori. Gli insulti ormai sono diventati la norma anche per strada: se uno ha la faccia appena un po' da indiano o da medio-orientale si piglia di certo una bella ripassata a parole dal primo passante fanatico di Trump e, se è a piedi, a volte anche una bella bastonata. Le scritte antisemite e anti-gay sono diffuse.<br />
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Chi mi conosce sa che avevo previsto tutto questo un anno fa: il prossimo presidente sarà biondo, dicevo. Biondo perché di Obama, per quanto onesto e dignitoso, s'è fatta una figura mediatica e poco più: il profeta nero investito del ruolo di cambiare il mondo intero, con tanto di Nobel per la Pace dato sulla fiducia (e in realtà trappola mortale) e lo stencil su tutti i muri, come fosse Che Guevara. Ma il profeta s'è poi rivelato solo un uomo, che peraltro ha raggiunto qualche risultato importante almeno in politica interna: il deficit e la disoccupazione sono diminuiti (uno di molto, l'altra di poco). Sappiamo però quanto poco contino i risultati effettivi rispetto al racconto che se ne fa.</div>
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Hilary doveva vincere già nel 2008, ma il nero le soffiò la mano alle primarie. Stavolta non bisognava rischiare; e quindi alla Democratic National Convention si fece tutto per ostacolare Bernie Sanders, il socialdemocratico di buonsenso che aveva veramente un piano per la classe media e, secondo i sondaggi, anche le carte per tenere testa a Trump. Nossignore: la reginetta bionda aveva aspettato troppo e scalpitava da anni. E così trovò conferma il teorema di Malaguti, secondo il quale, quando i democratici prendono paura e promuovono il candidato più moderato, la Casa Bianca va ai repubblicani. Così successe nel 1968 (la maestra elementare nera Shirley Chisholm contro l'avvocato bianco George McGovern: vinse Richard Nixon), nel 2000 (Bill Bradley perse le primarie, che vinse Al Gore, e andò alla Casa Bianca George W. Bush) e ora. Forse un giorno i democratici avranno il coraggio di fare i democratici (e chissà che io sia ancora vivo per vederlo). </div>
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Trump è in sé il ritorno del rimosso del subconscio americano: autolegittimarsi attraverso la forza e la violenza, offendere senza temere ritorsioni, vantarsi del sopruso e quindi riscrivere la storia in proprio favore, perché il passato non conta più (come sta scritto anche sul basamento della Statua della Libertà). Il più forte ha ragione e dimostra che Dio è dalla sua parte. Così si giustificò il genocidio dei popoli indigeni (Sioux, Chippewa, Navaho, ecc.). C'è sempre quello col pistolone che vuol mettere gli altri a tacere; un tempo era quell'altro biondo poco di buono del Generale Custer, poi arrivò Clint Eastwood sugli schermi (l'unico sostenitore di Trump nel mondo dello spettacolo). E sulla voglia dei <i>trumpistas</i> di sentirsi forti e potenti facendo passare la voglia di esser nato a chiunque non stia dalla loro parte le notizie si sprecano. </div>
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State per leggere l'ultimo paragrafo della mia ultima storia americana; <i>America al bar </i>finisce qui. Non vedo altro di interessante da dire, né ora né nei prossimi anni. La vita quotidiana sembra destinata a farsi sempre più povera e forse addirittura disgustosa; non so se avrò voglia di raccontarla. Al resto penseranno gli altri, i giornalisti, gli opinionisti, che la sanno più lunga di me. Concludo con un'osservazione: l'insulto preferito di Donald Trump, cioè <i>loser</i>, io l'ho sentito usare a profusione anche in piazza a Bondeno di Ferrara, il mio paese d'origine, ovviamente nella traduzione italiana "povero sfigato". Un tempo si diceva dalle mie parti: <i>L'America l'è chi da nu altar...</i></div>
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malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-21956457883656562332016-10-14T17:12:00.000-04:002016-12-02T14:41:48.645-05:00Non ripensarci...Ogni tanto qualcuno si lascia sorprendere dal Nobel per la letteratura. Fu la volta di Dario Fo, nel 1997, ed è la volta di Bob Dylan adesso, proprio il giorno della morte di Fo. Un attore? Un cantautore? Personalmente, non ci trovo molto di strano: non mi sembra affatto che il teatro non faccia parte della letteratura, soprattutto se i suoi autori hanno anche calcato la scena (altrimenti dovremmo depennare Molière dalle storie letterarie e non mi sembra il caso). La canzone d'autore è da anni nelle antologie letterarie, dove De André regna (meritatamente) e Bob Dylan gli tiene appena dietro. Peraltro, già trentacinque anni fa un professore di lettere noto a molti miei compaesani (e sono sicuro che mi sta leggendo) portò in classe i testi di Gaber-Luporini e i cartoons di Quino, meravigliando gli studenti e scandalizzando i genitori. Fu cosa buona e giusta (i testi, i cartoons, la meraviglia e lo scandalo), specie a fronte di programmi che non prevedevano affatto l'approccio diretto ai testi, salvo "le pagine più belle della letteratura" al primo biennio delle superiori (poi, a rigore, doveva essere tutta storia letteraria; i testi erano a carico dell'intelligenza degli insegnanti).<br />
<br />
All'epoca, ero al liceo anch'io e Dario Fo e Bob Dylan erano parte della mia vita quotidiana fin dalla scuola media: uno era in televisione, l'altro sul giradischi. Ma non piango di nostalgia: Dario Fo era molto spesso ammirevole, ma forse non lo apprezzavo fino in fondo. Bob Dylan faceva di tutto per non farsi capire, pensavo: storpiava l'inglese, parlava di naso (e a volte col naso) e la cadenza ti restava in testa, le parole mai (devo i miei fondamenti di inglese parlato a cantautori molto più tersi). Però li ho riletti entrambi e li ho apprezzati molto più tardi; si tratta di premi senza dubbio meritati, data la produzione testuale. E poi, io sto sempre dalla parte dei giullari, dei <i>jesters</i>, dei <i>fools</i> shakespeariani che hanno il coraggio di dire la verità nei confronti del potere (e non dovrebbero farlo solo loro) e Fo e Dylan almeno molto spesso l'hanno fatto. Quindi, bravi entrambi.<br />
<br />
Mi si perdoni però l'osservazione di chi ormai ha una certa età e ne ha viste, se non tante, almeno alcune: ho una grande nostalgia del valore della cultura scritta e della letteratura in senso stretto. Era bello dover affrontare Pascoli in classe e leggere Gregory Corso o Emile Zola sotto il banco, mentre il professore interrogava gli altri (anche il professore che portò in classe le poesie di Allen Ginsberg, quello che mi sta leggendo adesso). Se leggevamo di frodo era perché leggevamo anche a scuola; e in fondo Corso o Zola (o Thomas Hardy, che piaceva molto a un mio compagno di classe) erano le ricadute di Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Manzoni e gli altri. La letteratura era parte della nostra vita quotidiana. Il mio liceo aveva una biblioteca scolastica continuamente in uso; ora mi dicono che sia chiusa (e quando due anni fa portai una sporta di Penguin Classics in dono, mi dissero che non si sapeva dove sarebbero finiti).<br />
<br />
Oggi sotto il banco ci sono i videogiochi, che più spesso che mai non sono creativi; anzi, spesso tendono ad appiattire le storie sul modello di Terminator. Lo dico perché me ne hanno raccontato uno, intitolato <i>Inferno</i>: Dante va all'inferno a liberare Beatrice e per farlo deve ammazzare tutti i mostri che gli si parano davanti e riportarla in superficie viva. Vince chi lo fa nel minor tempo. Insomma, la solita storia del guerriero che salva la damigella in pericolo (pericolo di che cosa, poi?), quindi una storia maschilista e sciovinista, il tutto in meno di un minuto.<br />
<br />
Ovvio, la <i>Commedia</i> è altra cosa. Intanto, è Beatrice che salva Dante dalla dannazione quasi sicura: la "selva oscura" dell'inizio è stata paragonata alla selva dei suicidi del canto XIII, quindi molto probabilmente Dante stava per compiere un gesto inconsulto e fatale (altro che guerriero ammazzatutto). Poi, Dante non ammazza proprio nessuno: anzi, quando vede i dannati (come poi quando vedrà i penitenti e i redenti) cerca di farsi raccontare le loro storie e cambia molto nel corso del viaggio-poema (ci sono chiare differenze tra il Dante che compie il viaggio e quello che lo racconta, per dirla in soldoni). E il bello di Dante che cambia è che, leggendolo, cambiamo anche noi; e forse per cambiare veramente e nel profondo c'è bisogno della lentezza della lettura (anche se le terze rime della <i>Commedia</i> spingono verso la fretta).<br />
<br />
Ergo, una prece per Dario Fo e un complimento a Bob Dylan, com'è giusto, ma anche un rimpianto per un'epoca in cui si leggeva di più e più volentieri, e in cui la lettura era anche una forma di comunicazione. Perché si legge da soli, ma poi quando si parla ci si riconosce, si hanno più cose da dire e più emozioni da dare. Mi riservo di leggere le poesie di Bob Dylan: forse ho perso parecchio (come avevo perso parecchio quando non conoscevo bene il teatro di Dario Fo). Per ora rimango con le canzoni, dove a volte c'è un po' di mistica ("Blowing in the Wind") e a volte affiora qualche brivido di crudeltà: la voglia di dare il benservito a una donna, di non farsi conoscere e di non rendersi disponibile solo per la voglia di rinfacciarle il passato: "Don't think twice, it's all right." Non so se non ho voglia di ripensarci, Bob; non so se mi va di seguire il tuo consiglio...<br />
<br />malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-51798895637027578242016-09-18T11:54:00.003-04:002016-09-19T09:40:23.891-04:00Ricordi di un dimenticoneQui dall'altra parte del fosso, come diceva mio padre ("Là d'là dal fos..."), le donne sono in genere ossessionate dalle date di coppia. Noi uomini, invece, dimentichiamo, tralasciamo...<br />
<br />
E sia: io sono tanto dimenticone da non essermi ricordato, il 26 agosto, del novantesimo di mio padre (classe 1926); ma un ricordo recente di Dugles Boccafogli in Facebook me l'ha fatto tornare in mente. Era il 1987 e al Tennis Club di Bondeno si svolgeva il secondo torneo singolare femminile. Lascio la parola a Dugles:<br />
<br />
<span data-ft="{"tn":"K"}"><span class="UFICommentBody _1n4g"><i>Il
giudice arbitro era Roberto Del Vecchio, che si rese protagonista di un
richiamo al dr. Rolando Malaguti che, presente tra il pubblico in
tribuna, commentò uno scambio tra le giocatrici. La replica il dr.
Malaguti la rivolse a Gianni Zampieri, dicendogli: "Presidente, chi è
quell'energumeno che mi vuole zittire?".</i> </span></span><br />
<br />
<span data-ft="{"tn":"K"}"><span class="UFICommentBody _1n4g"> Mio papà commentava a voce alta e probabilmente l'arbitro Del Vecchio si era limitato a un serio e magari sussiegoso "Silenzio in tribuna, prego!". Papà era un caratteraccio difficile, autoritario e intollerante; ma non gli si può non riconoscere una sana insofferenza nei confronti di ogni formalismo e di ogni ostentazione e un senso dell'umorismo fuori del comune. La risposta all'arbitro (che mi fa arrossire ancora oggi) è solo una delle sue tante uscite; qui ne racconto altre due che ho sentito io e solo io e invito gli altri a riportarne altre nei commenti. </span></span><br />
<span data-ft="{"tn":"K"}"><span class="UFICommentBody _1n4g"><br /></span></span>
<span data-ft="{"tn":"K"}"><span class="UFICommentBody _1n4g">Un giorno papà ed io camminavamo per un sentiero di montagna. </span></span><span data-ft="{"tn":"K"}"><span class="UFICommentBody _1n4g"><span data-ft="{"tn":"K"}"><span class="UFICommentBody _1n4g">Faceva caldo, ma non lo sentivamo molto e camminavamo in discesa con tanto di maglietta bianca e camicia a quadri addosso. </span></span>Mio padre era piccolino e magrissimo, come molti ricorderanno, e io un po' più grosso e più alto, ma mai oltre il metro e ottanta. Vedemmo venire in salita un uomo alto almeno due metri, biondo, probabilmente tedesco, dall'incedere fiero e impettito, a torso nudo con tanto di rigonfi muscolari; lo lasciammo passare e quando costui fu ad almeno trenta metri, papà si girò verso di me col pollice e il medio della mano destra puntati all'ultima falange dell'indice della stessa: "Al gh'avrà 'n pistulìn lông acsì...!" Impietoso, ma ben trovato. </span></span><br />
<br />
<span data-ft="{"tn":"K"}"><span class="UFICommentBody _1n4g">Soffrivo</span></span><span data-ft="{"tn":"K"}"><span class="UFICommentBody _1n4g"> da tempo di cisti sebacee e una era andata in suppurazione. Chiesi a papà di farmi una piccola incisione e di liberarmi dal dolore che ormai mi affliggeva da giorni. Vinta una certa sua riluttanza iniziale (non voleva mettere le mani addosso a nessuno e posso dire che non aveva nessuna manualità) finalmente mi invitò a presentarmi al suo studio in ospedale</span></span><span data-ft="{"tn":"K"}"><span class="UFICommentBody _1n4g"> il giorno dopo</span></span><span data-ft="{"tn":"K"}"><span class="UFICommentBody _1n4g"> alle nove e tre quarti. Mi fece spogliare fino alla cintola e mi disse di accomodarmi prono sul lettino, poi mi chiese: "La facciamo alla piccolo montanaro?" E che domanda era? Eravamo stati tanto in montagna insieme, vero, ma avevo ventiquattro anni, per la miseria! Risposi sì, va bene. Papà si mise a straziare sia la melodia de <i>Le petit montagnard</i> di Frontini, cominciando a canticchiarla (era stonatissimo), sia le mie povere carni, cacciando a forza il bisturi nella ciste infetta e quindi spremendola più e più volte per epurarla (lo so che si fa così, ma un minimo di anestesia periferica non avrebbe guastato). Dopo l'operazione, non riuscii a non sorridere e papà fece portare nel suo studio due caffè. </span></span><br />
<br />
<span data-ft="{"tn":"K"}"><span class="UFICommentBody _1n4g">Cominciò così la nostra abitudine di prendere il caffè insieme, fino all'ultima volta, alla stazione di Ferrara, alle sei di una mattina del gennaio 2003. Papà portava il sondino naso-gastrico, si nutriva artificialmente e non parlava più. Aspettavamo il treno per Bologna, primo tratto del mio ritorno a New York, dove abitavo allora. Papà indicò col dito il bar aperto, entrammo e con un gesto della mano mi fece capire che voleva che prendessi il caffè, il mio ultimo caffè con lui. Se mi capita di entrare in un bar di mattina presto (è raro) mi guardo sempre in giro e c'è sempre qualcuno che non vedo. </span></span>malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-21363991242556642062016-05-07T20:52:00.003-04:002016-06-26T17:33:27.497-04:00Otium (scritto qualche tempo fa e completato ora)Leggo della decisione del ministro Stefania Giannini di inserire un'ora di <i>otium</i> per tutti gli studenti italiani; e lo faccio durante la mia pausa pranzo, con accanto una copia delle <i>Odi</i> di Orazio. Il mio ultimo esame di latino risale al giugno 1985; quindi, nonostante il voto alto, ricordo poco o nulla. Tra le cose che ricordo, però, c'è il concetto di <i>otium</i>, che non corrisponde affatto alla svogliatezza e al dolce far niente (che spesso di dolce ha ben poco), ma alla vita ritirata, alla riflessione sulla vita; è il tempo dello spirito, il tempo della contemplazione, il tempo di noi stessi. Vi si oppone il <i>negotium</i>, che è invece il tempo dell'impegno, della partecipazione, degli affari, del coinvolgimento.<br />
<br />
Sarà forse perché insegno, ma non credo che la scuola sia adatta all'<i>otium </i>proprio perché invece, idealmente, è il luogo del <i>negotium</i>: impegno, partecipazione, coinvolgimento e serietà dovrebbero essere i valori essenziali di ogni scuola che si rispetti. Che altro si dovrebbe / potrebbe fare a scuola se non impegnarsi nell'apprendimento, nella prova della conoscenza, nella discussione, nell'osservazione? Ed è giusto farlo insieme: l'apprendimento è collettivo proprio perché il sapere è attivo e discusso e non può essere altro (e vale per ogni materia: nessuno come il mio insegnante di matematica e fisica del liceo, il Professor Enzo Padovani, sapeva coinvolgere gli studenti tanto intensamente).<br />
<br />
L'<i>otium</i> è fatto per altri momenti e richiede la solitudine, più che la compagnia. C'è chi medita anche in compagnia, ma si fa meglio da soli. Non è necessario scegliere un posto isolato nella natura (anche se aiuta ed è bello comunque), ma bastano anche il salotto o il tinello di casa propria e almeno due o tre minuti per restare seduti con la schiena eretta semplicemente a respirare e a non pensare a niente. Si tratta di creare uno spazio vuoto dentro di sé e sentire solamente il proprio corpo, cercando solo di essere se stessi e trascurando ogni pensiero o preoccupazione. È difficilissimo e anche due minuti sembrano non terminare mai, ma serve a ritrovare il contatto col proprio corpo e con quelle zone di noi stessi che spesso trascuriamo, nella frenesia incessante (e poco sana) di essere sempre quello che il mondo ci chiede anche solo per sopravvivere, dimenticandoci spesso di quello che veramente siamo. (Tim Parks, lo scrittore inglese che abita in provincia di Verona, ci ha scritto un libro: <i><a href="http://www.amazon.com/Teach-Us-Sit-Still-Skeptics/dp/1609614488/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1462668174&sr=1-1&keywords=teach+us+to+sit+still">Teach Us To Sit Still</a></i>, ovvero 'insegnaci a star fermi').<br />
<br />
Non credo che la meditazione debba diventare materia scolastica. Sarebbe però una buona forma di rapporto tra l'educazione della mente e quella del corpo (ci sono due ore settimanali di educazione fisica che hanno una loro ragione profonda e troppo spesso snobbata). Basterebbero due minuti due volte nell'arco della mattinata e si starebbe tutti meglio, senza bisogno di riempirsi la bocca di retorica.malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-89430623122746798582016-02-04T17:42:00.000-05:002016-02-04T23:50:12.146-05:00Il filo del rasoioAl supermercato, sugli scaffali della cura del corpo per uomini è ricomparso il rasoio di sicurezza, proprio quello fatto a martello, con la vite del manico che apre le due ribalte laterali che poggiano sui cardini ai lati e si aprono al centro per far entrare nell'acetabolo la cara, vecchia lametta rettangolare col foro centrale. Eccola:<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjyUEcSgaJ1L9uCmBLCQI2Q_yLVWOmb6kSwfqGxCtRmV0MMsaUqe5URAx8O2aZoW4CQr1_LUV1Yksxuq0ZqaomNxPDol3geKVqfrzyP_TSOV1eVmlJttYPYmkqXnDKdtq8yToJF27s89o/s1600/images.jpeg" imageanchor="1"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjyUEcSgaJ1L9uCmBLCQI2Q_yLVWOmb6kSwfqGxCtRmV0MMsaUqe5URAx8O2aZoW4CQr1_LUV1Yksxuq0ZqaomNxPDol3geKVqfrzyP_TSOV1eVmlJttYPYmkqXnDKdtq8yToJF27s89o/s400/images.jpeg" /></a><br />
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La ricordate? Dopo anni di lama doppia, tripla, quadrupla innestata su testina rotante, ritorna il vecchio arnese di cui si servivano anche gli architetti per tagliare i fogli da disegno. Come mai? Perché a furia di raffinatezze plastico-tecnologiche, farsi la barba è diventato un investimento a fondo perduto: un set di cinque griglie di plastica (qualcuno le chiama ancora 'lamette', ma ogni griglia ha almeno tre lame d'acciaio) non si trova a meno di diciotto dollari (e il manico del rasoio ne costa sei).</div>
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Vero: nel bagno di un uomo si trovano un pezzo di sapone e una bottiglia di shampoo, mentre in quello di una donna ci sono almeno cinque bottiglie di condizionatore, una di ammorbidente, due di rinforzante e una legione di flaconi di creme per ogni occasione ed evenienza. Ma le finanze sono quelle che sono; e per radersi non vale la pena impegnare la casa e l'automobile quando basterebbe impegnarsi un po' di più (mano ferma, gesto armonico...). Le vecchie lamette costano meno: con sette dollari una scatola di sei si porta a casa. E poi: una lametta di metallo arrugginisce in fretta e viene riassorbita presto dall'ambiente, quando invece le griglie di plastica dei rasoi di ultima generazione magari finiscono, come spesso accade, a deturpare gli oceani. Quindi ho comprato volentieri il vecchio rasoio di sicurezza, tutto in ottone cromato: faccio volentieri un passo indietro nel tempo che potrebbe consentire al mondo di fare un bel passo avanti. </div>
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Ma guarda questi americani che rischiano addirittura di avere un presidente socialdemocratico...</div>
malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-44659663424338594272016-01-23T13:19:00.002-05:002016-06-26T16:54:28.634-04:001984 + 32? Aspetta, aspetta, non me lo dire...Il sabato mattina gli americani tengono la radio accesa (e anch'io) e fanno le pulizie (anch'io, qualche volta; qualche volta le faccio in altri momenti). A mezzogiorno comincia un programma di quiz di solito molto spiritoso basato sulle notizie della settimana e intitolato <i>Wait, wait, don't tell me</i> (aspetta, aspetta, non me lo dire). Ammetto: mi fa fare volentieri quattro risate (ma con Sarah Palin e Donald Trump c'è meno da ridere di quanto si creda). Oggi, però, è successo qualcosa di diverso. Uno dei giochetti consiste nell'indovinare, tra tre storie al limite dell'assurdo, quella vera. Le storie di oggi erano queste:<br />
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1: la tradizionale gara di sillabazione (<i>spelling</i>) delle quinte elementari non trovava sponsor, fino a quando non s'è fatta avanti l'Ikea, che si è offerta di coprire le spese anche di ripresa televisiva, a patto però che i ragazzini gareggiassero non col lessico inglese, ma solo coi nomi dei mobili prodotti dalla fabbrica.</div>
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2: dopo anni di declino, il tasso di natalità del Giappone è finalmente aumentato a causa di un programma televisivo con lo scopo preciso di distrarre i bambini e consentire quindi ai genitori una mezz'oretta di intimità (chiedendo peraltro ai bimbi di far chiasso, per attutire quello eventuale dei genitori). </div>
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3: nella ripresa televisiva del dibattito all'ONU sul clima l'intervento del primo ministro svedese è stato erroneamente doppiato dal dialogo di un cartone animato. </div>
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Qualsiasi persona di buonsenso capisce che l'unica storia appena plausibile è la terza: può capitare che la regia avvii il nastro sbagliato per errore, mentre le altre due presuppongono il proposito di modificare i comportamenti della gente (bimbi o genitori che siano) da parte di un'entità di controllo politico o economico. E infatti la storia vera è la terza. Però anche solo presentare come termini di confronto le altre due è una maniera per abituare la gente prima alla possibilità e quindi alla realtà di un effettivo controllo mediatico-commerciale sulle vite umane. Prima ci si scherza, poi, alla fine delle risate, lo scherzo diventa realtà senza che la gente protesti e attraverso la televisione l'ingranaggio del commercio mondiale entra nella vita e la manipola a proprio vantaggio. </div>
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Potrei consigliare sempre il vecchio romanzo di George Orwell <i>Nineteen Eighty-Four</i> (o, in italiano, <i>1984</i>); faccio però notare che, nonostante la vulgata critica, ho forti dubbi che si tratti di una mera critica dello stalinismo. Perché? Perché George Orwell già negli anni trenta, cioè molto prima di scrivere il romanzo, vedeva nel colosso commerciale dell'Inghilterra il pericolo della sua capacità di compromettersi su tutti i fronti (Germania nazista compresa). E poi, se si guarda la geopolitica del 1984 orwelliano, i continenti in guerra sono Eurasia, cioè l'Europa continentale, e Oceania, cioè l'alleanza di ferro Inghilterra-Stati Uniti. </div>
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Uno degli ultimi grandi lettori di Orwell, il giornalista e saggista inglese Christopher Hitchens, pubblicò un libro indicativo già nel 1990 (verso la fine dell'era Reagan-Thatcher): <i>Blood, Class, and Empire: the Enduring Anglo-American Relationship</i> (Farrar, Strauss & Giroux, e quindi Nation Books, 2004, per l'edizione riveduta). "Enduring": il rapporto perdura, cioè esiste da tempo, forse proprio dai tempi di Orwell, che nel suo ultimo romanzo (scritto praticamente in punto di morte) voleva dimostrare che un certo regime resiste anche al socialismo e riesce a piegarlo alle sue esigenze, anche inventandosi una neolingua per sopprimere i termini scomodi. Come si chiama questa forma politica? Aspetta, aspetta, non me lo dire... </div>
malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-19840969466614217712015-11-19T23:57:00.000-05:002016-06-26T16:57:58.374-04:00Chiedo scusa se parlo di ParigiLo so, non c'è solo la Francia: c'è il Libano, c'è l'aeroplano russo, ci sono i centoquarantasette studenti del Kenya dell'aprile scorso, c'è la Palestina, c'è il Messico. Le zone di guerra e di violenza al mondo sono tante (per non parlare dei disastri ecologici, che finiranno con l'intossicare il mondo intero). Chiedo scusa, però, se parlo di Parigi; e non nel senso di un discorso politico sul terrorismo, ma quello che mi viene. Perché, a differenza di <a href="https://www.youtube.com/watch?v=-5IbdwmF_s8">Giorgio Gaber</a>, non ho paura di dire che si tratta di una cosa mia; e forse di una specie d'amore.<br />
<br />
Non sono mai stato un gran viaggiatore, se non per obblighi professionali. Di solito arrivo in posti che conosco già per aver messo la testa dei libri che ne parlano o nei film (m'è successo nel New England, con le poesie di Robert Frost e di Emily Dickinson) o per averli studiati. Conoscevo Roma dai libri di storia e Londra dalle lezioni del Professor Romano Anderlini, il mio eccezionale insegnante d'inglese del liceo: sapevo che cosa cercare e che cosa trovare già dalle mie prime visite.<br />
<br />
Parigi no: là ero un autodidatta involontario, cioè avevo letto per conto mio, in altri tempi, la letteratura di Parigi Capitale dell'Ottocento, specie Balzac e Baudelaire, e avevo visto il cinema che parla della Parigi del dopoguerra (specie <i>I 400 Colpi </i>e gli altri film con Jean-Pierre Leaud di François Truffaut, che rivedo ogni volta che ho voglia di starmene solo con me stesso). E in quella strada di fruttivendoli, librai e bar chiamata Rue Daguerre, all'incrocio con Rue Boulard, nel XIV distretto, dove avevo per puro caso preso alloggio in un albergo di fronte a un negozio chiamato "Paris accordeon", mi sembrava di rivivere una sensazione sedimentata da tempo in qualche angolo della memoria; come se per anni quel posto mi aspettasse, come se non mi fossi mai mosso da lì. Mi sembrava di essere a casa. Era l'ora di pranzo. M accomodai in un bistrot e, dopo la bistecca con l'insalata e la birra, scrissi tutto il pomeriggio. L'indomani, come quasi sempre, dovevo intervenire a un congresso.<br />
<br />
Riconoscevo Parigi per tutto quello che per me aveva rappresentato: l'idea di una vita interessante e allo stesso tempo distesa; moderna, ma con una memoria storica ancora viva; con una cultura autorevole, ma allo stesso tempo vissuta anche dalla gente, come se la letteratura fosse cosa comune (e infatti a leggere erano tanti, al Jardin du Luxembourg, la domenica in cui aspettavo, leggendo Georges Perec, la mia collega francese che leggeva Giorgio Caproni). E infatti, pochi giorni dopo l'assassinio dei redattori di Charlie Hebdo, i francesi si rimisero a leggere il <i>Trattato sulla tolleranza. </i><br />
<br />
I parigini lavoravano, chiaro: li vedevo cambiar treno al mattino, tra metropolitana e linee pendolari (però, curiosamente, il <i>métro</i> aveva le ruote di gomma per attutire il chiasso, a cui invece a New York si era abituati). Però sembravano anche avere il tempo di vivere, di passeggiare per le strade la sera, di parlare, di conoscersi, di avere una dimensione umana e sociale. A New York si viveva per gli appuntamenti importanti, segnati nel calendario, apposta per compiacere la <i>high society</i>. A Parigi si poteva improvvisare ogni giorno.<br />
<br />
Sono finiti sotto attacco la socialità e il piacere di vivere, i grandi rimedi alla fretta e allo stress che ormai ci rendono schiavi. Sappiamo bene che gli assaltatori armati di venerdì 13 novembre sono solo una propaggine più o meno consapevole di un sistema per cui la vita umana e sociale è sempre meno importante e gli individui sono solo depositi provvisori di denaro da rimettere in circolazione il prima possibile per far salire le quotazioni in borsa. Perché la macchina deve andare avanti. E infatti stavolta le bombe sono arrivate sulla gente in festa, sui ragazzi al concerto rock, sulle famiglie a passeggio. Su noi tutti.<br />
<br />
Perciò chiedo scusa se parlo di Parigi, che per non è una città, ma un'idea di libertà vera e di vita comune. E so che è in pericolo dappertutto nel mondo (a Beirut, a Parigi, a Roma, al Cairo, a New York, in Palestina). Perché non è solo una festa mobile, come diceva Hemingway, ma anche il senso del nostro vivere.<br />
<br />
Poscritto del 23 novembre: no, con le bombe si distrugge e basta. No.malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-39306353447969321602015-11-06T14:39:00.004-05:002023-01-24T18:54:36.894-05:00Un ettaro di cortile<span style="font-family: inherit;">Lo sapete: adoro la campagna e adoro il verde della Pioneer Valley, dove abito ora. Ciò che però non smetterà mai di sorprendermi è che, a parte il centro stretto delle cittadine più grandi, come Amherst o Northampton, appena un chilometro oltre l'ultimo palazzo le case cominciano ad avere attorno <span style="font-family: inherit;">cortili enormi</span>. A parte il mio vecchio domicilio al 421 di North East Street, che è una vecchia casa di campagna con la tenuta attorno, qui ci sono interi quartieri di vie tortuose e case sparse dove anche una modesta villetta a quattro stanze (non però quella che mi piace, sulla strada di Hadley) poggia su un ettaro di cortile. </span><br />
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<span style="font-family: inherit;">Il mio amico Rossano, cultore di storia, mi ha detto che, secondo lui, la concentrazione e la vicinanza tra le case dei paesini italiani qui manca perché non c'è mai stato il pericolo d<span style="font-family: inherit;">i</span> invasioni periodiche <span style="font-family: inherit;">o</span> d<span style="font-family: inherit;">i</span> scaramucce coi villaggi confinanti<span style="font-family: inherit;">; e h</span>a ragione. Qui, una volta debellate le popolazioni indigene (una delle tante vergogn<span style="font-family: inherit;">e</span> che l'America bianca di solito non ammette), i padroni non hanno mai dovuto temere nessuno. L'ultima guerra combattuta sul suolo statunitense fu quella di secessione, terminata nel 1865. Il resto è stata pura esportazione, tant'è che ogni tanto si scorge qualche locale un po' spartano che inalbera la scritta VFW: Veterans of Foreign Wars. I reduci delle guerre del mondo si trovano lì. I caduti, invece, sono sepolti al cimitero militare di Arlington, a Washington, in un campo enorme. E chissà quanti altri ancora ne arriveranno. Lo spazio, qui, si spreca. </span><br />
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<span style="font-family: inherit;">Quindi non mi sorprendono affatto i commenti divisi all'idea di Beppe Severgnini espressa di recente in un suo </span><a href="http://www.nytimes.com/2015/11/04/opinion/let-refugees-settle-italys-empty-spaces.html?rref=collection%2Ftimestopic%2FSevergnini%2C%20Beppe&action=click&contentCollection=opinion&region=stream&module=stream_unit&version=latest&contentPlacement=1&pgtype=collection&_r=1" style="font-family: inherit;">articolo nel New York Times</a><span style="font-family: inherit;"> in cui suggerisce di destinare le masse immigranti ai terreni incolti. Agli americani sembra una soluzione intelligente, agli italiani un'emerita fesseria. La conclusione del Beppe bilingue è la solita: americani pragmatici e ottimisti e italiani menagramo e inconcludenti. Immaginavo... comunque, lo lascio pontificare. Almeno sa bene l'inglese e non ricorre alle solite supercazzole; di questi tempi non è poco. </span><br />
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<span style="font-family: inherit;">Faccio osservare però che, come dicevo sopra, qui si sta larghi. Un mio collega conservatore di scienze politiche qualche anno fa così disse dei messicani: "Ship them to one of those square states..." Ovvero: spediscili in uno di quegli stati rettangolari, cioè nel bel mezzo del paese, lontano dalle coste. </span><span style="font-family: inherit;">Lo stato più popolato è la California, con 38 milioni di abitanti su quasi 424 mila chilometri quadrati di territorio geograficamente molto più ospitale di quello italiano, che su 301 mila chilometri quadrati alloggia 60 milioni di persone. I coefficienti di densità al chilometro quadrato sono 95 per la California e 201 per l'Italia. Se in California cominciasse l'immigrazione in massa, mi sa che i californiani perderebbero il loro proverbiale sorriso e metterebbero le mani al fucile, come del resto già fecero negli anni venti e trenta, contro i loro connazionali che lasciavano zone meno fortunate. </span><br />
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<span style="font-family: inherit;">E poi, anche se non sono un esperto, so che non è saggio per l'ambiente riempire tutti gli interstizi. La stessa bonifica di buona parte delle Valli di Comacchio port<span style="font-family: inherit;">ò</span> i suoi indubbi vantaggi, ma inferse anche un brutto colpo all'ecosistema. L'ambiente ha bisogno delle sue pause, dei suoi incolti, dei suoi spazi spontanei e naturali; gli si reca danno comprimendolo con l'insediamento ossessivo. Così almeno ricordo dai tempi del mio vecchio esame di geografia (12 dicembre 1984), quando l'argutissima professoressa Eugenia Bevilacqua ci raccontava che proprio in California, già allora, si stava dando fondo ai depositi di acqua fossile, per definizione non rinnovabili; ora c'è l'emergenza acqua; qualche dubbio sulla saggezza dei residenti viene. Ai raffinati lettori del New York Times, me compreso, è quindi il caso di ricordare che non si possono sempre tenere i problemi fuori casa. In quell'ettaro di cortile possono capitare cose strane. Col caldo fuori stagione, per esempio, piove poco anche nel New England e l'erba rinsecchisce nel cimitero di Hadley; chissà in quello di Arlington. </span>malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-66002103573732878272015-11-01T21:25:00.001-05:002020-03-19T15:49:32.027-04:00AllouinNon ho mai avuto idea delle origini del carnevale macabro di fine ottobre a base di maschere e zucche scavate che gli americani chiamano Halloween e che ormai, come qualsiasi cosa americana, è conosciuto in tutto il mondo. Chiaro, abitando in un paesino di trentamila abitanti più venticinquemila studenti, ieri sera, passeggiando per Main Street, visto che qui non ci sono piazze, ho visto diversi plotoni di giovani mascherati. A vent'anni ogni occasione è buona per far festa; ed è giusto così (anche se io, a dire il vero, nemmeno allora amavo le mascherate e meno che mai quelle dell'orrore). Ieri sera abbondavano i veli neri, le teste bianche di cera, le maschere da scheletro e il trucco da testa di morto, con tanto di ossa ecc. Confesso: anch'io avevo una benda nera all'occhio destro, ma solo per rilassare l'occhio stesso dal dolore di un orzaiolo fastidioso che mi stanca da martedì scorso (ma oggi duole meno) e, togliendomi la convergenza dello sguardo, mi ha fatto rinunciare alla partita al biliardo del bar, ma non alla birra.<br />
<br />
Rimpiango le vecchie denominazioni italiane: i Santi e i Morti (e l'adorabile <a href="https://www.youtube.com/watch?v=AZ8mrzSKzQs">Livella</a> di Totò). E poi, l'autunno qui è bello di giorno. Le foglie diventano gialle, rosse, arancione e finché qualcuna rimane ancora verde la campagna si trasforma in un carnevale di colori. Il tempo è ancora mite e forse (forse) c'è da temere un inverno nucleare; ma visto che non posso farci gran che, almeno esco in bicicletta, che inquina sempre meno dell'automobile, e vado per la ciclabile dietro casa, il <a href="http://www.mass.gov/eea/agencies/dcr/massparks/region-west/norwottuck-rail-trail.html">Norwottuck Rail Trail</a>. Di solito arrivo fino a Hadley e salgo sull'argine del Connecticut all'ansa di West Street, che mi ricorda tanto quelli del Panaro e del Po. Oggi, però, scendendo dalla scarpata, invece di tornare subito a casa, ho girato a destra per una laterale chiamata Cemetery Road; c'ero stato altre volte e avevo visto un altro banchetto fiduciario di frutta e verdura (cf. "Come le lucciole" dell'ottobre 2012) e un piccola casetta di quattro stanze che, in altre condizioni finanziarie, comprerei senza pensarci due volte. Oggi mi sono spinto un po' più avanti e alla mia destra ho trovato quello che il nome della strada prometteva: il cimitero.<br />
<br />
È un bel cimitero di campagna, all'inglese: poche lapidi grigie, ben distanziate, alte al massimo ottanta centimetri, di solito con più di un nome ciascuna e tanta erba attorno. Niente fiori o lumini; solo qualche bandiera americana per i caduti in guerra, penso. Mi ci trovavo bene, in pieno sole, e passeggiavo volentieri, bicicletta a mano, per il vialetto a ferro di cavallo che andava da un'uscita all'altra. Sulle tombe più grandi c'erano più membri di famiglia, di cui non ricordo i nomi, ma solo le date: il padre (1841-1901), la madre (1846-1912) e il figlio (1875-1961, la stessa generazione del mio bisnonno). E pensavo che il padre, morto comunque presto, magari era stato coscritto durante la Guerra di Secessione, che la madre aveva visto le prime automobili e il figlio aveva conosciuto le grandi immigrazioni e le due guerre mondiali e quella in Corea. E pensavo che l'idea del ritorno dei morti viventi, degli zombie violenti e aggressivi, è solo il precipitato di un nostro senso di colpa.<br />
<br />
Se i morti potessero tornare, probabilmente avrebbero solo voglia di parlare dei loro ricordi, magari seduti a tavola, senza disturbare troppo. O magari ci verrebbero a dire che ci arrabattiamo tanto e sbagliamo tutto. Lo so, lo so: la prima idea viene da una poesia di Giovanni Pascoli dai <i>Canti di Castelvecchio</i>, <a href="http://www.fondazionepascoli.it/2014/Poesie/18tovaglia.html">La tovaglia</a>, la seconda dal terzo atto della nota commedia di Thornton Wilder <a href="http://cinetramando.blogspot.com/2012/07/piccola-citta-our-town-thornton-wilder.html">Piccola città</a>, che è proprio ambientato qui nel Massachusetts, in un posto immaginario chiamato Grovers Corner; e ce ne sono tanti così. E forse hanno ragione entrambi. Però oggi, leggendo le date della famiglia di cui dicevo, mi sarebbe piaciuto ascoltare le loro storie, vedere come avevano vissuto certi momenti della nazione e della vita; però, in barba a Halloween, non mi potevano fare visita da morti, anche se io ero lì da vivo. Averli conosciuti un tempo, magari; ma il figlio era già morto quando io sono nato e comunque è già tanto la nostra vita, quello che abbiamo visto e che vediamo, chi abbiamo conosciuto e conosciamo. Poi mi sono guardato intorno: i campi di Hadley sono molto belli, ampi, e alcuni sono tenuti bene come giardini; e c'è ancora qualche foglia gialla sugli alberi. E poi ho inforcato la bicicletta e sono tornato a casa.<br />
<br />
No, niente lanterne macabre: con le zucche, <i>mei faragh' di caplazz.</i>malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-19954400985834637652015-02-22T09:46:00.001-05:002015-03-15T15:34:41.791-04:00La piazza vista da lontano<div class="MsoNormal">
Ieri, nella piazza centrale di Bondeno di Ferrara, dove sono
nato e cresciuto, c'è stata una manifestazione di Forza Nuova contro il
progetto di costruzione di una nuova moschea. Ovviamente, non c'ero e di regola
dovrei starmene zitto; ma c'è chi ha parlato di piazza militarizzata. Non penso
sia il caso di arrivare a tanto. Se prendo la parola, è perché in oltre
vent'anni di residenza negli Stati Uniti, credo di avere una certa esperienza
dell'Altro: l'ho incontrato e, soprattutto (e dolorosamente, a volte),<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>lo sono stato. Forse la mia testimonianza
può servire. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Quando sono arrivato, nel 1993, ero un immigrato di lusso.
Non avevo la valigia di cartone, ma il contratto del dottorato e il dizionario
e la grammatica italiana (avrei dovuto insegnare) e sapevo piuttosto bene
l'inglese (salvo qualche comico bisticcio d'uso corretto col tempo). Ero però pur
sempre un immigrato, venivo da fuori e dovevo imparare le regole locali del
vivere; ed erano tante, a volte palesi e a volte oscure: le aspettative sul
lavoro, la distanza di almeno di un metro circa da tenere con gli
interlocutori, il significato di certe parole o di certe figure nel discorso
comune e tante altre. Perciò ho fatto fronte a tante incomprensioni, a volte anche
gravi. Ho avuto bisogno di tanta buona volontà, di tantissima pazienza e dell'aiuto
di amici intelligenti che mi hanno saputo consigliare. Non è stato facile e,
ripeto, io sono tuttora un immigrato di lusso.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Peraltro, non ero né sono il solo immigrato qui, visto che,
specie negli ambienti universitari, ci si trova un po' da tutto il mondo:
cinesi (almeno cinque colleghi), giapponesi (il collega di fisica al college),
coreani (la famiglia vicina di casa), e al caffè centrale ogni tanto mi
intrattengo con Nariman Mostafavi, studente del dottorato di ingegneria
dell'ambiente ed ex-attivista politico in Iran. Non ho visto la moschea, ma so
dov'è la sinagoga. Come facciamo? Osserviamo le regole istituzionali che la società
si dà: il rispetto personale, il senso della riservatezza, la decenza
quotidiana, la correttezza sul lavoro e nel rapporto con gli altri ecc.
All'interno di queste regole di massima ognuno si esprime come può e si misura
con l'altro. Conflitti di culture non ce ne sono proprio (anzi, dice
giustamente Nariman, la formazione americana ha spinto tanti giovani iraniani a
voler cambiare il proprio paese in senso liberale). </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
No, non voglio proporre questo modello come ideale, in primo
luogo perché si fonda su una cultura sostanzialmente più debole delle
tradizioni popolari italiane; e poi, non credo che il liberalismo globalizzato
sia la soluzione di tutti i problemi sociali (anzi, porta spesso a delle
aggravanti che sarebbe canzone lunga discutere). Resta però, questo sì, il
valore del rispetto delle istituzioni e delle regole del vivere, che credo sia
possibile anche in Italia. Ho conosciuto tanti giovani (ragazze, soprattutto)
di famiglie arabe che parlavano un italiano curato e si esprimevano con grande
proprietà; e li ho conosciuti in biblioteca, a Ferrara e anche a Bondeno, dove
leggevano e si documentavano. Peraltro pare che tra le letture più diffuse tra
gli immigrati in Italia ci siano <i>Se questo è un uomo</i> di Primo Levi e <i>Il fu Mattia Pascal</i> di Pirandello: come sopravvivere in un ambiente
ostile e che cosa capita a uno che vuole inventarsi un'altra identità in un
altro luogo e senza documenti. Inoltre, mi raccontava anni fa Amara Lakhous,
l'autore di "Scontro di civiltà in un ascensore di Piazza Vittorio",
proprio il contatto con l'Italia ha portato una buona parte dell'Islam su
posizioni moderate.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Ora invece parlo da professore (perché dopo vent'anni
all'estero potrebbero nascere dubbi sulla mia italianità, ma non sul mio
mestiere): la cultura italiana ha in sé tutte le risorse necessarie per
consolidarsi istituzionalmente e darsi come punto di riferimento essenziale sia
per chi è nato e cresciuto nel paese sia per chi viene da fuori. C'è però
bisogno di una scuola eccellente, di una lingua italiana corretta e curata
anche (soprattutto!) nei mass-media, di una politica culturale forte anche a
livello locale (e parlo di cose serie, non di mascherate). Questo è almeno
parte di quanto gli italiani dovrebbero ESIGERE dai loro rappresentanti al
potere; se non è stato fatto, è GRAVISSIMO e le conseguenze funeste non
tarderanno ad arrivare.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
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Mi si permetta un altro paragone con gli Stati Uniti. Io
abito nel New England, che è la regione nord-orientale, una delle più fredde,
ma anche una delle più colte: cinema, teatro, musica e incontri letterari non
mancano. Gente da tutto il mondo convive tranquilla. In altre zone, dove le
istituzioni culturali latitano, gli scontri razziali e gli omicidi sono
all'ordine del giorno. Chiaro, la cultura non è il solo fattore; ma ha un suo
peso non trascurabile. Se in Francia, dopo l'eccidio, hanno detto "Je suis
Charlie Hebdo" è perché dietro i fumetti c'era il <i>Trattato sulla
tolleranza</i> di Voltaire che molti avevano letto a scuola e che in queste
due settimane è andato a ruba nelle librerie. Ed è da lì, penso io, che si
comincia a distinguere che cosa tollerare e che cosa non tollerare.</div>
malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-12196045149725992072014-07-09T07:47:00.004-04:002021-10-28T22:07:53.078-04:00Ricordo di Eli WallachIeri non feci in tempo a rimettere piede in casa (letteralmente: ero sulla soglia con le valigie in mano) quando la collega che gentilmente mi aveva accompagnato a casa dalla stazione degli autobus me lo disse: era venuto a mancare Eli Wallach (<a href="http://www.nytimes.com/2014/06/25/movies/eli-wallach-multifaceted-actor-dies-at-98.html?_r=0">ne dà notizia il New York Times</a>). Tutti lo ricordiamo ne <i>Il buono, il brutto e il cattivo</i> (1964) di Sergio Leone, ma io sono particolarmente affezionato a Guido, l'immigrato italiano de <i>Gli spostati</i> ("The Misfits" 1960, dir. John Huston) che non perde l'occasione di fare il furbo con Marilyn Monroe e poi la dà vinta al solito Clark Gable).<br />
<br />
Ironia della sorte: Eli Wallach, che sullo schermo ha sempre interpretato il prepotente malizioso e levantino, nella vita era onesto, bonario e affabile. O almeno così l'ho conosciuto quando l'ho incontrato un pomeriggio, al tavolo dello studio di fisioterapia a cui avevo prenotato dieci sedute per una tripla frattura al polso sinistro. Ero caduto giocando a tennis, poggiando male il piede destro in preparazione di un dritto incrociato assassino che poi si risolse in un balzo in aria con ricaduta sulla mano sinistra libera, in omaggio a Gianni Clerici; il tutto a tre mesi dalle elezioni politiche del 2008, continuando la serie di traumi della sinistra.<br />
<br />
Al bancone dello studio mi avevano detto di infilare la mano cionca in una specie di manica a vento che soffiava segatura non so bene per quale effetto. Alla mia destra, vidi un signore minuto sugli ottanta-novant'anni seduto al banco e con le mani piene di elettrodi; lo riconobbi quasi subito: il sorriso sornione appena accennato era inconfondibile. Decisi però di non disturbarlo: non mi sembrava il caso. Cominciò lui a fare conversazione: "Ma guarda quanti affari che mi hanno appiccicato alle mani..."<br />
<br />
IO: "Che cosa le hanno diagnosticato?"<br />
EW: "Sindrome del tunnel carpale"<br />
IO: "Scrive molto a macchina?"<br />
EW: "Oh, no, proprio per niente..."<br />
<br />
(pausa)<br />
<br />
EW: "Lei da dove viene?"<br />
IO: "Dall'Italia"<br />
EW: "Ci ho fatto qualche film, da quelle parti"<br />
IO: "Lo so!"<br />
<br />
Non volevo disturbarlo, ma nemmeno fargli credere che non l'avessi riconosciuto; e lui, chiaramente, aveva capito che anch'io volevo far conversazione. E allora si mise a parlare lui di Anna Magnani, che conosceva bene, e di Clint Eastwood, altro buon uomo dalla faccia da cattivo; su Sergio Leone, invece, c'era qualche riserva. Eli Wallach aveva fatto però anche molto teatro, che gli aveva dato più soddisfazione: per recitare in <i>Camino Real</i>, la pièce sperimentale di Tennessee Williams, Wallach rinunciò al ruolo di Maggio in <i>Da qui all'eternità. </i>Il ruolo venne poi affidato a Frank Sinatra, che vinse l'Oscar; ma Wallach non ne ebbe alcun rimorso, proprio per il suo grande amore per il teatro.<br />
<br />
Insomma, sembrava di parlare con certi signori del quartiere che, a una certa età, ne costituiscono un po' la memoria storica. E il quartiere è quello del teatro e del cinema americano nei suoi anni più interessanti e difficili: il dopoguerra della censura, della guerra fredda e delle liste nere di proscrizione, da cui però gli attori e i registi avevano imparato a difendersi e a dare il miglior esempio di se stessi. Così, alla fine della seduta fisioterapica, il piccolo grande Ei Wallach mi illustrò anche la giacca a vento che portava, di gran marca, ricordandosi di chi gliel'aveva regalata; poi mi diede la mano e salutò cordialmente le fisioterapiste. "See you, girls!" E loro risposero: "See you, Eli!"<br />
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Eli Wallach era nato nel 1915 a Brooklyn da una famiglia ebrea molto modesta, aveva frequentato l'università in Texas, ad Austin (perché la retta era di 30 dollari all'anno, raccontava) e quindi il City College of New York per un master's in scienza dell'educazione; voleva insegnare (come hanno fatto i suoi fratelli e le sue sorelle, peraltro) e invece poi si è innamorato del teatro e di Anne Jackson, la moglie, attrice anche lei, con cui ha vissuto e recitato per una vita (aiutandosi coi film a pagare le bollette). La sua modestia e la sua grande cordialità, che non aveva perso nemmeno al culmine della fama, mi ricordano quelle del mio scrittore americano preferito: Bernard Malamud, altro ebreo di Brooklyn di classe 1915 (ma ci lasciò nel 1985), altro fine esploratore dei sentimenti umani (consiglio caldamente <a href="http://www.ibs.it/code/9788806198435/malamud-bernard/racconti.html">i suoi racconti</a>, magari <a href="http://www.amazon.com/The-Complete-Stories-Bernard-Malamud/dp/0374525757/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1404904742&sr=8-1&keywords=complete+stories+of+bernard+malamud">in inglese</a>) e ricco di benevolenza e di compassione, che preferisco a Saul Bellow, col permesso della mia amica Alessandra Calanchi.<br />
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Schivo e modesto anche quando era ormai un pezzo di storia del teatro e del cinema americano, ma sempre cordiale e amichevole, Eli Wallach era rimasto un caro e un grande signore del quartiere. Ho avuto il privilegio di poterlo conoscere così, anche solo per una mezz'ora; e così riesco a raccontarlo.malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-79661506983792108822014-05-11T22:22:00.000-04:002016-06-27T09:02:19.024-04:00Prudenza sulle strade americaneÈ ormai di qualche anno fa il tormentone di Gioele Dix: "Io sono un automobilista, ed essendo un automobilista sono sempre e costantemente inc... come una bestia". E anche se l'amabile Gioele non era sempre credibile (sembrava passare il tempo a far chilometri e basta, senza una meta precisa; con quello che costa in Italia la benzina?) aveva ragione su un punto: l'automobile induce all'ira. Mi han detto di un parroco coreano che ha venduto la vettura regalatagli dalle donazioni dei parrocchiani per non ritrovarsi a peccare oltre il ragionevole.<br />
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Chissà cosa capiterebbe all'automobilista di Gioele sulle autostrade americane. Vero, per gli americani, noi italiani guidiamo da scriteriati, a velocità impensabili (altrimenti a che ci servono Ferrari e Maserati?) e magari ridendo e scherzando coi passeggeri; o addirittura cercando di sedurli o di toccarli, come ci viene imposto dallo stereotipo del maschio latino. Dianne Hales, l'autrice di <a href="http://www.amazon.com/La-Bella-Lingua-Enchanting-Language/dp/0767927702">La bella lingua: My Love Affair With Italian, the World's Most Enchanting Language</a>, racconta di essere stata accarezzata ripetutamente dal tassista che, al suo primo viaggio a Firenze, l'accompagnava all'albergo. Ma le credo poco: per quanto fosse avvenente la signora Hales in gioventù, in Italia il cambio manuale delle marce occupa parecchio chi è alla guida e investire un passante fiorentino, per un tassista, sarebbe stato comunque controproducente.<br />
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Una cosa è certa: l'automobilista italiano (o tedesco) è di solito attento, concentrato e deciso ad arrivare a destinazione il prima possibile. Fuori fa bel tempo, è una bella giornata e quindi cerchiamo di rinchiuderci nell'abitacolo il meno possibile: via a tutto gas! Quindi le autostrade sono ben fornite di segnalazioni ossessive: FERRARA NORD KM. 5, FERRARA NORD KM. 2 , FERRARA NORD KM. 1, FERRARA NORD m. 500. Poi, all'uscita, due pannelli in alto (a sinistra BOLOGNA e a destra FERRARA NORD) e uno in basso proprio sullo spigolo del bivio: FERRARA NORD >. Impossibile sbagliare con una segnaletica fatta apposta per Niki Lauda (peraltro prudentissimo sulla strada) o per mio papà (prudentissimo anche lui, beninteso).<br />
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Al contrario, l'automobilista americano è lento, pacioso e spesso distratto, forse perché per lui le distanze sono sempre enormi (a Los Angeles avere il lavoro a due ore di macchina è quasi normale). La guida è quindi una delle tante vessazioni che servono a scontare il peccato originale (cultura puritana-protestante) e quindi non ci sono scorciatoie: tutti pianin pianino a sorbirci tutta la strada che bisogna fare. E tutti in coda: la punizione deve esserci per tutti (e infatti, quando un mio collega di una università in Texas spiegò che ci sono confessioni cristiane in cui tutti vengono perdonati e vanno in paradiso, una signora che lo ascoltava si mise a picchiare i pugni sul tavolo: "No, no, no, no, no!").<br />
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Quindi in America si va piano, in teoria. Dal 1995 non c'è più il limite nazionale di 55 miglia orarie (circa 90 km/h) in autostrada istituito nel 1973 a seguito della crisi petrolifera (e i consumi delle vetture dell'epoca sarebbero oggigiorno impensabili). Oggi si arriva a 65 miglia (105 km/h), ma ci si può spingere con prudenza fino a 75 (120 km/h), contando sulla tolleranza della polizia, spesso strategicamente appostata e fornita di pistola radar (no, qui non c'è l'autovelox), che però, se magari nota che l'automobilista rallenta, lascia correre. In alcuni stati è addirittura legale l'apparecchio segnala-radar, chiamato appunto <i>radar detector </i>o meno formalmente <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Radar_detector">Fuzzbuster</a>. Insomma, chi vuol correre, in sostanza può.<br />
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Il problema è un altro. È vero che, come dice una vecchia barzelletta delle province italiane, in America hanno strade enormi e le chiamano "strit"; ma, anche se le autostrade hanno tre o quattro corsie per senso di marcia, non si capisce mai quale sia l'impiego proprio di ogni corsia. Dove si marcia normalmente? Dove si sorpassa? Le auto camminano fianco a fianco, mentre da dietro ne arrivano altre di gran carriera. Non si sposta nessuno anche se, su tre o quattro corsie, quelle di destra sono notoriamente libere. Perché?<br />
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Ci vuole un po' di psicanalisi rudimentale: 1) c'è un rimosso, cioè qualcosa che non vogliamo ammettere e che quindi depositiamo nel subconscio; 2) quando c'è un imperativo è segno che la società, per qualche ragione, va in senso opposto; per esempio, "non uccidere" significa che in giro la voglia d'ammazzare c'è.<br />
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1) Il "grande rimosso" è la categoria di veicolo lento. Nel paese della velocità, dove Marinetti e i futuristi avrebbero gongolato, nessuno vuole pensare di essere "lento" anche se va a sessanta all'ora in autostrada; quindi non occuperà mai il ghetto della corsia di destra di una strada a più di due corsie. Anche gli autoarticolati, che a destra starebbero ben comodi e causerebbero meno danni, debbono per forza sgomitare e accelerare (anche perché hanno tabelle di marcia da staffetta militare greca a Maratona, altrimenti perdono la commissione).<br />
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2) L'imperativo è ben espresso nei cartelli autostradali, che dicono: "Please use the left lane for passing only". Per favore usate la corsia di sinistra solo per il sorpasso. Ma chi si mette a sinistra non sorpassa, spesso perché non ci riesce; e non ci riesce perché chi gli è a destra accelera. Da bocciare all'esame della scuola guida? Forse, ma nel subire il sorpasso risorge il rimosso: "No, sono troppo lento!" E allora l'autista sorpassato tenta il rimedio <i>in extremis</i> e accelera. Vedendosi spiazzato, il sorpassante tenta di accelerare ancora di più, ma teme di sforare non solo il limite legale dei 105 orari, ma anche quello morale del 120. Eccoli lì, bloccati, paralleli. Lentamente, il sorpassante decelera per mantenersi nei limiti accettabili, mentre il sorpassato, vedendo recedere la minaccia del sorpassante, rallenta a sua volta. Proseguono quindi paralleli, a velocità ridotta, bloccando file di autoveicoli che li tallonano e quasi li tamponano. Ormai gli ex-avversari sono alleati: questo sorpasso non s'ha da fare.<br />
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L'automobilista di Gioele Dix andrebbe in bestia subito. Io, con la mia minima Ford Focus rossa, mi allineo nella corsia di destra e di solito eludo tutto e circolo tranquillo. Però mi viene in mente che tanti che si erano trasferiti proprio a Los Angeles e avevano accettato il pendolarismo sfrenato in automobile adesso hanno perso il lavoro. La signora Mary Carmen Acosta, che un tempo cesellava gioielli, ora si mette in strada con un camioncino azzardato a vendere ghiaccioli fatti in casa. Nei giorni migliori, la signora realizza i 120 dollari che, al netto dei 50 di spese di preparazione, le consentono di barcamenarsi; quando fa freddo, però, e dalla rampa dell'autostrada vede i tanti mendicanti, si chiede quanto non le converrebbe mettersi al posto loro. E tutto questo per le banche private a cui lei e il marito hanno chiesto i prestiti per la casa, che hanno causato il crack del 2009, quando gli Acosta hanno perso il lavoro (la notizia è del <i>New York Times</i> di sabato 10 maggio scorso). E infatti il tasso di disoccupazione in California è del 10%; quello delle famiglie al di sotto della soglia di povertà a poco meno del 20.<br />
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Perciò conviene usare molta prudenza prima di mettersi sulla strada dell'America; anche perché, da quello che mi dicono in giro, sono adirati come bestie anche tanti non-automobilisti.malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-89151189218910353702014-04-22T19:20:00.001-04:002014-04-22T19:20:36.180-04:00Senza parodieLa definizione di "parodia" del Dizionario Garzanti è "imitazione caricaturale"; ed è quanto molti hanno trovato offensivo nell'ormai famigerato blog di Beppe Grillo, ovvero un'imitazione caricaturale della poesia di Primo Levi all'inizio del suo meraviglioso <i>Se questo è un uomo</i>. Tante le reazioni, soprattutto nel PD. L'Onorevole Emanuele Fiano, che ho conosciuto e che stimo molto, ha tenuto un discorso veemente contro Grillo alla Camera Dei Deputati; e, anche oltre la sua storia personale (suo padre Nedo è sopravvissuto ai campi di concentramento per miracolo), gli do ragione: Auschwitz è una vergogna europea. All'Onorevole Fiano, qualcuno su Facebook ha risposto accusandolo di ipocrisia: a una vignetta di Vauro che riprende la scritta dei cancelli di Auschwitz il PD non ha risposto proprio niente (e in effetti Vauro sta diventando sempre più volgare, per la verità).<br />
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Ora mi espongo al rischio anch'io. Non voglio coinvolgere la Shoah ("catastrofe", mi dicono che significhi in ebraico; così sarebbe più giusto chiamare l'Olocausto, che non è stato affatto un "sacrificio"): la vergogna d'Europa (e non la sola) parli per sé. Non voglio fare una parodia di Primo Levi (che ho studiato e che amo molto). Non voglio offendere alcuna etnia o la storia e i sentimenti di alcuno: sono sempre stato vicino a chi soffre e non me ne allontanerò mai. Voglio solo usare due verbi della lingua italiana nella maniera più piana possibile: "considerare" e "meditare". E non alla seconda persona plurale (odio le invettive) ma alla prima, perché anch'io sono coinvolto.</div>
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Consideriamo se questa è una nazione, da cui ogni vera autonomia è scomparsa, dove i giovani crescono senza speranze e spesso senza valori e dove sembra non esistere idea di futuro oltre le promesse neo-liberiste, vaghe nella migliore delle ipotesi e terrificanti nella peggiore, che rischiano di mettere a repentaglio molti dei valori su cui abbiamo costruito la vita sociale (ma si finirà molto probabilmente col credervi, per paura di perdere anche il boccone che resta, e quindi col venirne quasi inevitabilmente traditi). </div>
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Consideriamo se questa è una democrazia, dove da anni il potere è chiaramente al di fuori della portata del popolo, dove non c'è più dialettica oppositiva tra maggioranza e opposizione, dove le coscienze sono pilotate dai media, dove s'e perso il senso del dibattito civile, dove domina la sfacciataggine e la mancanza di vergogna di fronte a qualsiasi imbroglio e dove anche i movimenti di sedicente opposizione sembrano solo far leva sullo scontento diffuso. </div>
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Consideriamo se questa è una cultura, dove non si discute veramente più dei temi importanti e urgenti in maniera realista e rispettosa di chi vive le situazioni, dove l'aggressione verbale ha preso il posto della discussione civile e ci si appassiona solo alle liti ("Or mira, che per poco che teco non mi risso!", rimproverava Virgilio a Dante attratto indegnamente dalle offese e dai cazzotti tra Sinone e Mastro Adamo in <i>Inferno</i>, XXX, 131-132). </div>
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Meditiamo che questo accade ogni giorno, sotto i nostri occhi o a nostra insaputa. </div>
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Magari è troppo comodo per me parlare da lontano, da un'altra realtà molto diversa in cui vivo da anni (e dove so di star bene, anche se in molti aspetti è decisamente simile); ma, per affetto e per mestiere, non posso non tenere gli occhi puntati sull'Italia. E, anche se non sono ebreo, ho letto Primo Levi con passione e proprio ora debbo essergli grato di quella sua poesia-invettiva (chi ha visto l'inferno in terra può permetterselo) che non solo ci ha mostrato la condizione abbrutita delle vittime dei campi di concentramento e ci ha insegnato ad averne un profondo rispetto, ma ci ha anche imposto (imposto!) di considerare e di meditare. Quindi dobbiamo farlo; altrimenti gli facciamo un torto e rischiamo di causare altre catastrofi.</div>
malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-53464458830809600482014-03-07T08:32:00.000-05:002016-06-26T18:19:26.266-04:00Un premio allo spietato.Non ho mai amato il concetto di "orgoglio patriottico", perché chiunque conosca appena la propria storia nazionale sa benissimo che la bilancia pende sempre dalla parte delle vergogne. Conoscere la propria identità storica nazionale significa, spesso, dover elaborare un bel po' di traumi. Come m'è capitato di scrivere altrove, italiani non si nasce, ma si diventa (con pazienza e fatica). Per questa ragione sto lontano dagli elogi e dalle stroncature. Sono atteggiamenti che non mi si confanno da tempo. "Non dovresti giudicare, dovresti capire", mi diceva il mio professore di lettere del liceo nei rari momenti in cui ero più dandy di lui (che giudicava quasi sempre tutto senza pietà). <br />
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Certo, l'Oscar a <i>La grande bellezza</i> mi ha riempito di soddisfazione. Paolo Sorrentino è un regista intelligente e una persona gradevole e modesta (almeno lo era quando ho avuto occasione di stringergli la mano qualche anno fa). Il premio è del tutto meritato, penso io. Ho letto un po' di apprezzamenti (facile, ma comunque necessario, il paragone a <i>La dolce vita</i> di Fellini) e qualche stroncatura (facilonieria... forse, ma è anche l'Italia di oggi) e, rimandando alle mie lezioni tra qualche settimana le analisi più approfondite, mi limito a qualche appunto.<br />
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Il titolo è chiaramente paradossale e ironico: non c'è molta bellezza rimasta nei comportamenti della Roma e dell'Italia di oggi, di cui Jep Gambardella è un po' la cartina al tornasole. Assieme a lui, diventiamo testimoni di tutte le storture grottesche della Roma che conta, che è festaiola, volgare, prepotente, presuntuosa e superficiale. Un brutto inferno, insomma, dove i bimbi vengono costretti a produrre finte opere d'arte (poco distinguibili dalla spazzatura, ma la "trash art" fa moda), le suore si riempiono di botulino (e i chirughi plastici dispensano sorrisi e consigli e fanno cassa), i cardinali dal volto sofferto e rugoso non parlano di fede, ma di cucina, e gli unici autentici sono Ramona, una spogliarellista un po' fuori età (ma niente affatto fuori forma, diciamocelo) e minata dal male (Sabrina Ferilli) e Romano, un commediografo sfortunato (Carlo Verdone). Molto probabilmente Jep non ci sta bene; ma allo stesso tempo non riuscirebbe a vivere altrove, un po' come l'Enrico IV di Pirandello, che, dopo una vita passata a fingere d'essere l'imperatore dell'undicesimo secolo, è talmente abituato alla luce fioca delle lampade a olio da non poter sopportare la luce elettrica.<br />
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L'unica bellezza è in qualche paesaggio romano, specie nell'alba sul Tevere delle inquadrature finali (ma sulla dolcezza dei crepuscoli romani la dice lunga Vincenzo Cardarelli che, in un racconto di Ennio Flaiano, esce dal cinema al tramonto e dice che un cielo così fa passare il suicidio in secondo piano). Come dire: nonostante tutto... Certo: Roma è un patrimonio mondiale di case, prospettive, accenti, angolazioni e situazioni umane. Ma il film è altra cosa: uno sguardo spietato su quella che è stata l'Italia degli ultimi anni, la promessa di una democrazia politica e culturale mai avverata (la scrittrice-giornalista promossa solo a furia di letti di partito) e di cui si può essere solo testimoni stanchi, disincantati e comunque colpevoli. Se il giovane Marcello Rubini della <i>Dolce vita</i> vuole scoprire il mondo della capitale e comunque diventare scrittore (rinuncerà a tutto solo dopo il suicidio atroce del suo mentore Steiner), Jep è il suo rovescio perturbante.<br />
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Non c'è una vera e propria vicenda, nel film, anche perché, a differenza di Marcello nella <i>Dolce vita</i>, Jep non ha una sua storia personale. Non riusciamo a immaginarcelo altrimenti che come lo vediamo: malevolo e perspicace, cinico ma non insensibile, vecchio che fa finta di essere giovane come da giovane avrà fatto finta di essere rotto a tutte le esperienze. È di certo il riflesso (preoccupante) dell'Italia di oggi. E, se so bene quanto faccia comodo agli stranieri ritenere l'Italia un museo a cielo aperto con ristorante annesso e gli italiani un branco di faciloni inaffidabili, spesso intelligenti, ma di norma inutilmente furbi (è un pregiudizio che mi aspetta subito fuori dalla porta di casa ogni mattina), non penso che questo sia il contenuto del film. È invece, dicevo, uno sguardo spietato sulla parte più rappresentativa del paese, cioè quella che appartiene al mondo della rappresentazione mediatica, quella che la gente segue tutti i giorni e a cui fa riferimento nelle proprie abitudini quotidiane: la televisione, che magari è un segno di benessere, ma mina decisamente il buon vivere (Pasolini era un profeta e, purtroppo, lo sapeva). Vero: non si vedono i politici, ma ci si aspetta sempre che ne spunti uno dietro l'angolo.<br />
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C'era bisogno di un po' di spietatezza in un paese fatto di lustrini, assoluzioni e vigliaccheria redenta in televisione, in cui si conta solo se si appare sul piccolo schermo e in cui, fino a qualche anno fa, le ragazzine sognavano di fare le veline e indossavano quegli orrendi pantaloni a vita bassa per mostrare un po' di mercanzia ai <i>talent-scout</i> di turno (così mi raccontavano i miei colleghi delle scuole medie superiori, che raccoglievano le confessioni delle stesse; e poi, il preside del liceo di Naomi Letizia lodava la prossimità della fanciulla al vecchio marpione al potere). C'è di che nausearsi; e infatti il commediografo interpretato da Carlo Verdone lascia Roma e ritorna al paese d'origine. Lì, probabilmente, troverà un'altra Italia, più difficile (oltre l'orlo della crisi) e più interessante; e capiterà proprio a fagiolo, perché bisognerebbe raccontare anche questa Italia (specie a chi abita fuori). Aspettiamo notizie proprio da lui.malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4484773612055184585.post-70150783039331611392013-08-03T16:17:00.004-04:002013-12-03T13:35:59.424-05:00"Bisogna lavorare..."In un <em>Bed & Breakfast</em> dove ho alloggiato recentemente, m'è capitato in mano un vecchio numero del New Yorker del 2005, all'epoca in cui ogni tanto mandavo qualche storiella a <a href="http://www.bondeno.com/">www.bondeno.com</a> sull'economia americana e, soprattutto, su quelle che mi sembravano le conseguenze sulla vita di tutti i giorni. Ammetto: di economia ho sempre saputo ben poco, ma forse proprio per questo mi sforzavo di cogliere l'essenziale, come un bravo insegnante deve saper fare (e spero il esserci riuscito: questo fu <a href="http://www.bondeno.com/2010/04/03/la-ripresa-degli-economisti/">il mio ultimo articolo</a>).<br />
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Proprio nel <em>New Yorker</em> trovavo il mio esempio nel giornalista economico <a href="http://www.newyorker.com/magazine/bios/james_surowiecki/search?contributorName=james%20surowiecki">James Surowiecki</a>, che seguivo regolarmente; ho imparato molto da lui e spesso mi basavo sui suoi articoli. Mi doveva essere sfuggito, all'epoca, l'articolo <a href="http://www.newyorker.com/archive/2005/11/28/051128ta_talk_surowiecki">"No Work and No Play"</a> sulle differenze tra Stati Uniti ed Europa del 28 novembre 2005, che ho letto in una serata di riposo. Basandosi su uno studio di Alberto Alesina, Edward Glaeser e Bruce Sacerdote, Suriowiecki sostiene che la disoccupazione in Europa si deve al fatto che, per i diritti dei lavoratori sostenuti con forza dai sindacati, in generale si lavora meno, mentre negli Stati Uniti si lavora di più e si guadagna di più e quindi è quello stesso disavanzo a produrre l'indotto che crea nuovi posti di lavoro.<br />
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Per esempio: in America si sta in ufficio dalla mattina alla sera, quindi non c'è tanto tempo per pulire la casa e lo si deve far fare a qualcun altro, che quindi lavora e viene pagato. Non c'è nemmeno tempo per cucinare, quindi alla fine si finisce spesso al ristorante, che si mantiene e paga i camerieri. Non c'è un vero congedo di maternità per badare ai figli appena nati, quindi bisogna affidarli a baby sitter e strutture: e sono posti di lavoro! Insomma, penso che si sia capito: sono i disagi sociali a fare PIL. Star bene al mondo significa non produrre ricchezza. I diritti dei lavoratori? La pace sociale? No: ormai si vive per il PIL, ovvero per farci uscire i soldi dalle tasche proprie verso le tasche di qualcun altro.<br />
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Chissà se nelle sue ricerche Surowiecki avesse mai incontrato il famoso <a href="http://www.youtube.com/watch?v=iLw-WLlM9aw">discorso di Robert Kennedy alla University of Kansas del 18 marzo 1968</a>, di cui do uno stralcio:<br />
<span class="Apple-style-span" style="color: #444444; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18px;"><br /></span>
<i>(...) Sembra che abbiamo barattato l'eccellenza della persona e i valori della comunità per il mero accumulo di beni materiali. Il nostro Prodotto Interno Lordo ora supera gli 800 miliardi di dollari l'anno, ma il PIL, se da esso si giudica l'America, il PIL comprende l'inquinamento dell'aria e la reclame delle sigarette e le ambulanze che sgombrano i morti in autostrada. Comprende le serrature speciali per le porte e le prigioni per chi le forza. Comprende la distruzione delle foreste e la perdita delle nostre meraviglie naturali per l'urbanizzazione selvaggia. Comprende il napalm e le testate nucleari e le macchine blindate per la polizia quando affronta le rivolte urbane. Comprende il fucile Whittman e il coltello Speck e i programmi televisivi che glorificano la violenza per vendere giocattoli ai bambini. E non comprende la salute dei bambini, la qualità della loro istruzione o la gioia nel giocare. Non comprende la bellezza della nostra poesia, o la forza dei nostri matrimoni, l'intelligenza del nostro dibattito pubblico o l'onestà dei nostri pubblici ufficiali. Non misura né il nostro acume né il nostro coraggio, né la saggezza né la preparazione, né la compassione né la devozione verso il nostro paese. E ci dice tutto dell'America, salvo il perché siamo fieri di essere americani. </i>(<a href="http://www.jfklibrary.org/Research/Research-Aids/Ready-Reference/RFK-Speeches/Remarks-of-Robert-F-Kennedy-at-the-University-of-Kansas-March-18-1968.aspx">leggi l'intero testo in inglese</a>)<br />
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Neanche tre mesi dopo (tra il 4 e il 5 giugno 1968) Bob Kennedy venne ammazzato. Non penso che Surowiecki ignorasse il discorso, ma faceva (e fa) il giornalista: tutti parlano di PIL e parla di PIL anche lui, tanto per far vedere che sta al passo coi tempi (e non dice cose intelligenti: fa solo un passo, il passo dei tempi). È già tanto che non abbia detto che purtroppo il matrimonio limita fortemente l'indotto della prostituzione; ma in questo l'America è conservatrice e piccolo-borghese, a parole. Nei fatti, i festeggiamenti nuziali costano moltissimo (seimila dollari almeno); e comunque, dopo qualche anno il 50% dei matrimoni finisce in divorzi dolorosi e litigiosi, generando un indotto enorme di spese legali, notarili, immobiliari (ci vuole almeno una casa in più) e altro (psicologo, regali falsamente compensatori ai bimbi, vacanze di ripiego, ecc.). Con buona pace della prostituzione, il matrimonio conviene (agli altri). </div>
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A un furtivo scapolo (anche nel senso che "se l'è furtivamente scapolata...") come me viene in mente il vecchio Signor Aurelio, il padre di Titta in <i>Amarcord</i> di Fellini, quando in cantiere ascolta la poesia del poeta-muratore Calzinaz che finisce con: "Ma la mia casa, n'dov'è?". E il buon Aurelio (socialista, con tanto di fiocchetto da anarchico) risponde che non si può ottenere tutto subito e che: "Bisogna lavorare... e uno, lavorando... lavora... bisogna lavorare, ecco!" Sì, anche il padrone della ditta Aurelio non sa bene a che scopo lavorare; ha lavorato tanto, è arrivato quanto più in alto gli potesse permettere la sua condizione, ma non se la sente di garantire agli altri che anche a loro andrà così. Chissà che cosa lo rende tanto titubante... Lo sanno tutti quelli che, quattro anni dopo l'articolo di Surowiecki in questione, cioè nel 2009, hanno perso il lavoro e si sono detti, con tono tutt'altro che placido: "Bisogna lavorare..." </div>
malagutihttp://www.blogger.com/profile/08433821812668477838noreply@blogger.com0