Premetto che conosco molto bene il razzismo guerrafondaio dell'Europa; l'ho anche detto, senza mezzi termini Però / perciò non mi faccio illusioni sull'importanza intrinseca della cultura europea e fin da piccolino ho imparato a diffidare dei complimenti: dietro ogni lode si nasconde, e male, il coltello sempre pronto. Ciò detto, vi racconto un episodio.
Un'amica mi manda un videodiscorso del mio collega di filosofia Bryan Van Norden, fautore della filosofia multiculturale. È il solito discorso, già visto e già sentito, su come l'Occidente ignori le filosofie orientali, l'Occidente razzista dai tempi di Kant, che non considerava la gente dagli altri continenti capace di pensiero. E sono stati gli allievi di Kant, dice sempre Van Norden, a eliminare le filosofie orientali dal curriculum di filosofia generale. Voglio sperare che Kant sia studiato per altri contenuti, ma sono in sostanza d'accordo sulla possibile influenza di un razzismo rizomatico che, nella linea della metafisica, abbia messo il pensiero orientale in sottordine, anche se, dal poco che so, è una storia molto, molto più complessa, almeno da Schopenhauer in poi.
La mia modesta obiezione, dopo anni di esperienza universitaria americana a vari livelli, è che il fatto che ci sono poche cattedre di filosofia cinese negli Stati Uniti forse va attribuito ad altri fattori che non la supposta egemonia della linea metafisica franco-tedesca. In primo luogo, nei dipartimenti di filosofia delle università americane la parte del leone va alla logica analitica anglosassone, mentre il pensiero franco-tedesco è studiato soprattutto nei dipartimenti di letteratura comparata. In secondo luogo, per un madrelingua inglese, il cinese è molto più difficile da imparare del francese o anche del tedesco, anche se oggi gli studenti di cinese sono in aumento e quelli di francese e di tedesco in forte calo.
Peraltro, in tempi di rette universitarie americane annuali cresciute a dismisura e quindi di debiti contratti anche per centomila dollari alla fine di quattro anni di studi, è chiaro che i giovani di un paese e una cultura estremamente pragmatici studiano ben altro che filosofia. E ovviamente Jeffrey Sachs dà il buon esempio dicendo che sarebbe ora di leggere più filosofia, ma allora perché non cerca di convincere tanti rettori di tante istituzioni universitarie a non chiudere i dipartimenti di materie letterarie e filosofiche? È successo.
Una cosa è certa, almeno a me: l'America liberal si allontana sempre più dalla cultura europea (quella conservative se ne è sempre disinteressata, in massima parte) e si avvicina all'Asia e all'Africa non per espiare la colpa del razzismo, ma perché il quadro strategico è cambiato. Prima del 1990, l'American Way of Life si difendeva sullo scacchiere europeo, coi partiti comunisti fortissimi in Francia e in Italia, mentre oggi lo si difende nei negoziati con la Cina e con l'India, quindi è venuto il momento di studiare le loro filosofie, non le nostre: noi europei, e soprattutto noi italiani, siamo gli scendiletto, i camerieri, i venditori ambulanti di fazzoletti, e per di più razzisti: "Grazie, non ci serve niente..."
E dovremmo aspettarci da Kamala Harris o da Donald Trump un qualsiasi sforzo per un "cessate il fuoco" in Ucraina? Teniamoci buono Massimo Cacciari...