Ho già detto altrove, penso, di abitare in campagna, in una casetta isolata a centocinquanta metri dalla villona del proprietario della casa e dei campi attorno. Duecento metri più a sud, invece, abita un'agricultrice (l'italiano si presta alle desinenze femminili, ho già raccontato anche questo) e da lei si trovano ancora due cose del passato che mi lasciarono piacevolmente sorpreso quando le vidi per la prima volta: di fronte a casa sua, proprio sulla strada, c'è un banchetto fiduciario di frutta e verdura; di fianco a casa, invece, un allevamento di lama.
Il banchetto fiduciario è una baracca quadrata di poco più di due metri per due, aperta sul lato della strada, piena di frutta e verdura fresca di stagione: pomodori, cetrioli, lattuga, erbette varie, zucche, melanzane, pannocchie di granoturco ben avvolte nelle foglie e non rosicchiate dalle arvicole e altro. I prezzi sono segnati col pennarello su quadrati di cartone da imballaggio e le banconote si infilano in un buco tra le assi di legno dei banchi (sotto c'è il contenitore) e gli spiccioli in un vaso di vetro. La baracca resta incustodita tutto il giorno. Passa sempre gente, che parcheggia l'auto sui ciglioni della strada, entra nella baracchetta e, strano a vederlo, lascia il corrispettivo: due dollari per quattro pannocchie giganti, quattro per due San Marzano belli grossi, uno e mezzo per una melanzana che, cotta al funghetto, potrebbe bastare di contorno per tre persone.
Una sera, tornando dal lavoro a piedi (lascio volentieri la macchina a casa, nelle belle giornate) passai davanti alla baracca e conobbi la proprietaria. Bionda, sulla cinquanta-sessantina, occhi azzurri e pelle rugosa, aveva il tipico aspetto della campagnola liberal di queste parti (e magari il team di Obama tafanava anche lei, ma non glielo chiesi). Mi raccontava che, purtroppo, con la crisi economica, la gente ogni tanto non solo asportava la frutta senza pagare, ma ogni tanto rubava gli spiccioli per far benzina al distributore un chilometro e mezzo più a sud. Ma lei non avrebbe mai chiuso la sua botteghina, mi diceva. Era una tradizione di famiglia, da quando un giorno la madre di lei si era trovata con tanti pomodori in più da smaltire e quindi ne mise due casse davanti a casa col cartellino del prezzo. I clienti arrivarono subito (pagando; ma, se anche non l'avessero fatto, non sarebbe stato un guaio, visto che era roba in più). Così cominciò la prima bottega fiduciaria di frutta e verdura; e ne seguirono altre, che ho visto qui nei paraggi.
Le dissi che io pagavo sempre, però. "Oh, ma lei è un vicino, è un'altra cosa. La vedo sempre passare a piedi con lo zaino..." Sempre no, purtroppo; altrimenti non avrei almeno sette chili da perdere. Comunque, in segno di buon vicinato, cominciò a riempirmi di merce: quattro pomodori grossi, una scatola di ciliegini e quattro pannocchie "da bollire appena e da mettere subito in acqua fredda, altrimenti perdono le vitamine". Erano le nove e mezza. non avevo ancora cenato e, dopo quaranta minuti di cammino dal lavoro, avevo i succhi gastrici a mille. Mi misi a sgranocchiare i pomodori ciliegini, uno dopo l'altro; erano proprio come ciliegie.
Quando invece vidi i lama per la prima volta, passando in macchina e tenendo d'occhio il lato destro della strada alla ricerca della cassetta postale bianca n. 421, la mia, subito pensai che fossero cavalli. Ma forse andavo troppo in fretta. Anche la simpatica agricultrice si lamentava degli automobilisti in corsa e del rumore (e la mia vecchia Ford Focus, purtroppo, è poco silenziosa): "Non hanno più rispetto per le case di campagna! Io ricordo bene quando questa era ancora una strada bianca, prima del '70". Confesso: ho un debole per le strade bianche. Sono innamorato di Via Argine Diversivo, una delle ultime strade bianche tra Bondeno e Finale Emilia.
Quindi cominciai ad andar piano anche per l'ormai asfaltatissima North East Street, guardando gli alberi scuri contro il cielo e immaginando lo sfrigolio del ghiaino sotto le ruote. Ma le strade bianche si capiscono solo a piedi, con calma, sotto il sole, sotto le stelle o in mezzo alla nebbia (dove, senza fari, ci si vede benissimo). Allora mi apparvero i lama, placidi, dignitosi, disincantati, un po' pigri, un po' come me. E anche adesso, di notte, li vedo accucciati a dormire: le automobili che sfrecciano per quella che ormai è una bretella di sfogo del traffico verso nord non li smuovono nemmeno.
Chissà perché, però, anche se di certo non lo voglio, li smuovo io, quando torno a piedi. Quando passo in silenzio (tutte le mie scarpe hanno la suola di gomma) loro si svegliano, mi guardano, si alzano, mi seguono lungo il loro recinto. Se passa un'auto e io alzo il braccio o l'ombrello per segnalare la mia presenza, loro guardano me. Sembra che li sorprenda vedere un uomo a piedi, di notte, che cammina. E sì che dovrebbe essere la scena più naturale, più elementare; ma proprio quella viene a mancare così radicalmente, tanto da sorprendere anche i pigri e paciosi lama.
Trentasette anni fa, per dire che era scomparso ben altro, Pasolini diceva che erano scomparse le lucciole. Il fatto che di lucciole a Roma ormai parlino le canzoni di Jovanotti è segno che sono scomparse per davvero, per sempre. Quello che mi sorprende è di essere io, la lucciola, per i lama della mia vicina, come se fossi l'ultimo superstite di una specie in rapida estinzione: un uomo senza propaggini tecnologiche, senza motori, senza raggi di luce che aggrediscono il suolo, senza ruote che artigliano e distruggono. Un uomo e basta, sui due piedi con cui è nato. M'han detto che c'è qualcuno che mi cerca da duemila anni e va in giro anche di giorno con una lanterna in mano, ma magari è solo una lucciola.