Ieri, nella piazza centrale di Bondeno di Ferrara, dove sono
nato e cresciuto, c'è stata una manifestazione di Forza Nuova contro il
progetto di costruzione di una nuova moschea. Ovviamente, non c'ero e di regola
dovrei starmene zitto; ma c'è chi ha parlato di piazza militarizzata. Non penso
sia il caso di arrivare a tanto. Se prendo la parola, è perché in oltre
vent'anni di residenza negli Stati Uniti, credo di avere una certa esperienza
dell'Altro: l'ho incontrato e, soprattutto (e dolorosamente, a volte), lo sono stato. Forse la mia testimonianza
può servire.
Quando sono arrivato, nel 1993, ero un immigrato di lusso.
Non avevo la valigia di cartone, ma il contratto del dottorato e il dizionario
e la grammatica italiana (avrei dovuto insegnare) e sapevo piuttosto bene
l'inglese (salvo qualche comico bisticcio d'uso corretto col tempo). Ero però pur
sempre un immigrato, venivo da fuori e dovevo imparare le regole locali del
vivere; ed erano tante, a volte palesi e a volte oscure: le aspettative sul
lavoro, la distanza di almeno di un metro circa da tenere con gli
interlocutori, il significato di certe parole o di certe figure nel discorso
comune e tante altre. Perciò ho fatto fronte a tante incomprensioni, a volte anche
gravi. Ho avuto bisogno di tanta buona volontà, di tantissima pazienza e dell'aiuto
di amici intelligenti che mi hanno saputo consigliare. Non è stato facile e,
ripeto, io sono tuttora un immigrato di lusso.
Peraltro, non ero né sono il solo immigrato qui, visto che,
specie negli ambienti universitari, ci si trova un po' da tutto il mondo:
cinesi (almeno cinque colleghi), giapponesi (il collega di fisica al college),
coreani (la famiglia vicina di casa), e al caffè centrale ogni tanto mi
intrattengo con Nariman Mostafavi, studente del dottorato di ingegneria
dell'ambiente ed ex-attivista politico in Iran. Non ho visto la moschea, ma so
dov'è la sinagoga. Come facciamo? Osserviamo le regole istituzionali che la società
si dà: il rispetto personale, il senso della riservatezza, la decenza
quotidiana, la correttezza sul lavoro e nel rapporto con gli altri ecc.
All'interno di queste regole di massima ognuno si esprime come può e si misura
con l'altro. Conflitti di culture non ce ne sono proprio (anzi, dice
giustamente Nariman, la formazione americana ha spinto tanti giovani iraniani a
voler cambiare il proprio paese in senso liberale).
No, non voglio proporre questo modello come ideale, in primo
luogo perché si fonda su una cultura sostanzialmente più debole delle
tradizioni popolari italiane; e poi, non credo che il liberalismo globalizzato
sia la soluzione di tutti i problemi sociali (anzi, porta spesso a delle
aggravanti che sarebbe canzone lunga discutere). Resta però, questo sì, il
valore del rispetto delle istituzioni e delle regole del vivere, che credo sia
possibile anche in Italia. Ho conosciuto tanti giovani (ragazze, soprattutto)
di famiglie arabe che parlavano un italiano curato e si esprimevano con grande
proprietà; e li ho conosciuti in biblioteca, a Ferrara e anche a Bondeno, dove
leggevano e si documentavano. Peraltro pare che tra le letture più diffuse tra
gli immigrati in Italia ci siano Se questo è un uomo di Primo Levi e Il fu Mattia Pascal di Pirandello: come sopravvivere in un ambiente
ostile e che cosa capita a uno che vuole inventarsi un'altra identità in un
altro luogo e senza documenti. Inoltre, mi raccontava anni fa Amara Lakhous,
l'autore di "Scontro di civiltà in un ascensore di Piazza Vittorio",
proprio il contatto con l'Italia ha portato una buona parte dell'Islam su
posizioni moderate.
Ora invece parlo da professore (perché dopo vent'anni
all'estero potrebbero nascere dubbi sulla mia italianità, ma non sul mio
mestiere): la cultura italiana ha in sé tutte le risorse necessarie per
consolidarsi istituzionalmente e darsi come punto di riferimento essenziale sia
per chi è nato e cresciuto nel paese sia per chi viene da fuori. C'è però
bisogno di una scuola eccellente, di una lingua italiana corretta e curata
anche (soprattutto!) nei mass-media, di una politica culturale forte anche a
livello locale (e parlo di cose serie, non di mascherate). Questo è almeno
parte di quanto gli italiani dovrebbero ESIGERE dai loro rappresentanti al
potere; se non è stato fatto, è GRAVISSIMO e le conseguenze funeste non
tarderanno ad arrivare.
Mi si permetta un altro paragone con gli Stati Uniti. Io
abito nel New England, che è la regione nord-orientale, una delle più fredde,
ma anche una delle più colte: cinema, teatro, musica e incontri letterari non
mancano. Gente da tutto il mondo convive tranquilla. In altre zone, dove le
istituzioni culturali latitano, gli scontri razziali e gli omicidi sono
all'ordine del giorno. Chiaro, la cultura non è il solo fattore; ma ha un suo
peso non trascurabile. Se in Francia, dopo l'eccidio, hanno detto "Je suis
Charlie Hebdo" è perché dietro i fumetti c'era il Trattato sulla
tolleranza di Voltaire che molti avevano letto a scuola e che in queste
due settimane è andato a ruba nelle librerie. Ed è da lì, penso io, che si
comincia a distinguere che cosa tollerare e che cosa non tollerare.