Leggo della decisione del ministro Stefania Giannini di inserire un'ora di otium per tutti gli studenti italiani; e lo faccio durante la mia pausa pranzo, con accanto una copia delle Odi di Orazio. Il mio ultimo esame di latino risale al giugno 1985; quindi, nonostante il voto alto, ricordo poco o nulla. Tra le cose che ricordo, però, c'è il concetto di otium, che non corrisponde affatto alla svogliatezza e al dolce far niente (che spesso di dolce ha ben poco), ma alla vita ritirata, alla riflessione sulla vita; è il tempo dello spirito, il tempo della contemplazione, il tempo di noi stessi. Vi si oppone il negotium, che è invece il tempo dell'impegno, della partecipazione, degli affari, del coinvolgimento.
Sarà forse perché insegno, ma non credo che la scuola sia adatta all'otium proprio perché invece, idealmente, è il luogo del negotium: impegno, partecipazione, coinvolgimento e serietà dovrebbero essere i valori essenziali di ogni scuola che si rispetti. Che altro si dovrebbe / potrebbe fare a scuola se non impegnarsi nell'apprendimento, nella prova della conoscenza, nella discussione, nell'osservazione? Ed è giusto farlo insieme: l'apprendimento è collettivo proprio perché il sapere è attivo e discusso e non può essere altro (e vale per ogni materia: nessuno come il mio insegnante di matematica e fisica del liceo, il Professor Enzo Padovani, sapeva coinvolgere gli studenti tanto intensamente).
L'otium è fatto per altri momenti e richiede la solitudine, più che la compagnia. C'è chi medita anche in compagnia, ma si fa meglio da soli. Non è necessario scegliere un posto isolato nella natura (anche se aiuta ed è bello comunque), ma bastano anche il salotto o il tinello di casa propria e almeno due o tre minuti per restare seduti con la schiena eretta semplicemente a respirare e a non pensare a niente. Si tratta di creare uno spazio vuoto dentro di sé e sentire solamente il proprio corpo, cercando solo di essere se stessi e trascurando ogni pensiero o preoccupazione. È difficilissimo e anche due minuti sembrano non terminare mai, ma serve a ritrovare il contatto col proprio corpo e con quelle zone di noi stessi che spesso trascuriamo, nella frenesia incessante (e poco sana) di essere sempre quello che il mondo ci chiede anche solo per sopravvivere, dimenticandoci spesso di quello che veramente siamo. (Tim Parks, lo scrittore inglese che abita in provincia di Verona, ci ha scritto un libro: Teach Us To Sit Still, ovvero 'insegnaci a star fermi').
Non credo che la meditazione debba diventare materia scolastica. Sarebbe però una buona forma di rapporto tra l'educazione della mente e quella del corpo (ci sono due ore settimanali di educazione fisica che hanno una loro ragione profonda e troppo spesso snobbata). Basterebbero due minuti due volte nell'arco della mattinata e si starebbe tutti meglio, senza bisogno di riempirsi la bocca di retorica.