18 novembre 2016

La farsa (e l'addio)

C'era una volta (e forse c'è ancora), un senzatetto nero simpaticissimo con cui mi fermavo spesso a parlare sulla Broadway, all'altezza della 116a, vicino alla Columbia University, di fronte a un supermercato (che invece probabilmente non c'è più) nel quale ogni tanto gli compravo un cappuccino o altro. Un giorno parlavamo di politica e lo sentii dire il peggio possibile del Partito Democratico; quando terminò e io gli chiesi che cosa pensava del Partito Repubblicano, mi rispose con una smorfia di disgusto e un gesto brusco della mano: "Republicans are a joke!", che traduco liberamente (ma in fedeltà di spirito): i repubblicani sono una farsa.

Lascio all'informazione accreditata di analisti e politologi il commento autorevole. Dico solo che, dopo l'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, molti suoi sostenitori si sentiranno autorizzati a scaricare la loro rabbia repressa contro gente come il mio amico senzatetto e a picchiarli a sangue. "Dategli una bella ripassatina," gridava il falso biondo Donald dagli spalti dei suoi comizi: "Se finite in tribunale, pago le spese io." E infatti ai raduni di Trump era normale insultare e pestare gli oppositori. Gli insulti ormai sono diventati la norma anche per strada: se uno ha la faccia appena un po' da indiano o da medio-orientale si piglia di certo una bella ripassata a parole dal primo passante fanatico di Trump e, se è a piedi, a volte anche una bella bastonata. Le scritte antisemite e anti-gay sono diffuse.

Chi mi conosce sa che avevo previsto tutto questo un anno fa: il prossimo presidente sarà biondo, dicevo. Biondo perché di Obama, per quanto onesto e dignitoso, s'è fatta una figura mediatica e poco più: il profeta nero investito del ruolo di cambiare il mondo intero, con tanto di Nobel per la Pace dato sulla fiducia (e in realtà trappola mortale) e lo stencil su tutti i muri, come fosse Che Guevara. Ma il profeta s'è poi rivelato solo un uomo, che peraltro ha raggiunto qualche risultato importante almeno in politica interna: il deficit e la disoccupazione sono diminuiti (uno di molto, l'altra di poco). Sappiamo però quanto poco contino i risultati effettivi rispetto al racconto che se ne fa.

Hilary doveva vincere già nel 2008, ma il nero le soffiò la mano alle primarie. Stavolta non bisognava rischiare; e quindi alla Democratic National Convention si fece tutto per ostacolare Bernie Sanders, il socialdemocratico di buonsenso che aveva veramente un piano per la classe media e, secondo i sondaggi, anche le carte per tenere testa a Trump. Nossignore: la reginetta bionda aveva aspettato troppo e scalpitava da anni. E così trovò conferma il teorema di Malaguti, secondo il quale, quando i democratici prendono paura e promuovono il candidato più moderato, la Casa Bianca va ai repubblicani. Così successe nel 1968 (la maestra elementare nera Shirley Chisholm contro l'avvocato bianco George McGovern: vinse Richard Nixon), nel 2000 (Bill Bradley perse le primarie, che vinse Al Gore, e andò alla Casa Bianca George W. Bush) e ora. Forse un giorno i democratici avranno il coraggio di fare i democratici (e chissà che io sia ancora vivo per vederlo).

Trump è in sé il ritorno del rimosso del subconscio americano: autolegittimarsi attraverso la forza e la violenza, offendere senza temere ritorsioni, vantarsi del sopruso e quindi riscrivere la storia in proprio favore, perché il passato non conta più (come sta scritto anche sul basamento della Statua della Libertà). Il più forte ha ragione e dimostra che Dio è dalla sua parte. Così si giustificò il genocidio dei popoli indigeni (Sioux, Chippewa, Navaho, ecc.). C'è sempre quello col pistolone che vuol mettere gli altri a tacere; un tempo era quell'altro biondo poco di buono del Generale Custer, poi arrivò Clint Eastwood sugli schermi (l'unico sostenitore di Trump nel mondo dello spettacolo). E sulla voglia dei trumpistas di sentirsi forti e potenti facendo passare la voglia di esser nato a chiunque non stia dalla loro parte le notizie si sprecano. 

State per leggere l'ultimo paragrafo della mia ultima storia americana; America al bar finisce qui. Non vedo altro di interessante da dire, né ora né nei prossimi anni. La vita quotidiana sembra destinata a farsi sempre più povera e forse addirittura disgustosa; non so se avrò voglia di raccontarla. Al resto penseranno gli altri, i giornalisti, gli opinionisti, che la sanno più lunga di me. Concludo con un'osservazione: l'insulto preferito di Donald Trump, cioè loser, io l'ho sentito usare a profusione anche in piazza a Bondeno di Ferrara, il mio paese d'origine, ovviamente nella traduzione italiana "povero sfigato". Un tempo si diceva dalle mie parti: L'America l'è chi da nu altar...


Nessun commento:

Posta un commento