27 marzo 2012

Il dio degli sprovveduti

Ero appena arrivato a New York e, anche se abitavo nel mio primo appartamento con aria condizionata, non riuscivo a restare in casa la sera d’estate. L'abitudine del passeggio serale da provincia italiana non mi aveva abbandonato (anche perché l'avevo mantenuta felicemente ai tempi di Cambridge, Massachusetts). Ma fuori? Fuori c'erano solo afa e svacco estivo (e magari qualche vicino seduto sul marciapiede a prendere il fresco, ma li avrei conosciuti solo dopo). A New York c'era tutto, ma a un'ora di treno: bisognava studiarsi bene la guida e prenotare in tempo e non trovare tutto sold out, che in italiano suona come "soldato"; e non bastano i tre anni di militare a Cuneo per farti uomo di mondo. Anzi, omaggio a Totò, appena arrivi alla stazione della metro si ripropone la domanda metafisica: "Per andare dove vogliamo andare, dove dobbiamo andare?"

La sera, invece, volevo fare due passi; che è un altro concetto metafisico, perché presume la voglia di muoversi da casa, ma anche l'assenza di scopo e una modesta curiosità nei confronti del vicinato, che nel caso mio era Harlem, e non una delle parti più piacevoli e note. Poche sere prima avevo conversato in spagnolo con un portoricano, che mi aveva detto: "Senti, sei tanto simpatico e mi piace parlare con te; ma con la faccia che ti ritrovi è meglio che fili a casa: è l'una e questo non è posto per te..." Parola sua: gli credetti e andai a nanna.

Una sera mi misi a camminare per il corso principale, la 125a, ovvero Martin Luther King Boulevard, e a circa venti metri davanti a me scorsi una nera alta e statuaria dal protruso e consistente didietro, dove, con grande naturalezza di pigro bipede ambulante, posai gli occhi (e non fu difficile, anche perché lo stesso occupava gran parte della visuale). Mi chiamarono da una macchina a sinistra quattro neri sui venticinque-trent’anni:

Hey man! (“Ehi tu!”)
Yeah? Rispondo girandomi appena.
Once you go black you never come back! (Quando si passa al nero non si torna più indietro)
Yeah, right (Sìiii, capito)
Do you want some black pussy? (Vuoi un po’ di ficolina nera?)

Frugai nel peggior stereotipo italo-americano a disposizione, cacciai la pancia in fuori (ogni tanto serve...) e con una smorfia e un gesto di fastidio della mano destra accompagnai la frase-distintivo di Tony Soprano: Fugghedabbadi! (“forget about it”, cioè scordatelo). I quattro neri scoppiarono dalle risate e se la diedero in macchina. C’è un dio per gli sprovveduti, e James Gandolfini è il suo profeta.

Nessun commento:

Posta un commento