C’era una volta l’anguria di mezza sera. La toglievamo dal frigo verso le nove e mezza-dieci, quando la seconda ondata di calore invadeva la casa nell’afa di luglio e agosto. Di solito era già divisa a metà o in quarti a sua volta tagliati in ottavi a forma di piramide triangolare dalla buccia verde e convessa alla base. La polpa era umida e fresca e dolce come un gelato; faceva passare la sete e la noia. C’era addirittura una specie di bar-tenda, il Baraccone, allestito nel cortile di un’officina meccanica abbandonata, che vendeva solo fette di cocomero e vino bianco e dalle dieci a mezzanotte era pieno di gente, di solito operai e studenti in vacanza. Poi la vita cambia, si lasciano l’afa e il gelo per altre afe e altri geli e non c’è più l’anguria di mezza sera; salvo vederla ritornare, sempre in pieno luglio, venticinque anni dopo a Spanish Harlem.
Come già ho raccontato, non riuscivo a frenare la dromomania serale estiva da provincia italiana: dopo cena dovevo per forza uscire. Ero un forzato dei due passi, che una sera decisi di fare verso nord, anche se tutti me l’avevano sconsigliato; ma il Dio degli Sprovveduti mi proteggeva e sapevo spicciarmi bene in spagnolo, che infatti tutti parlavano alla 140ª in su. D’estate, gli ispanici se ne stavano tutti fuori dalla porta di casa a prendere il fresco per strada, a parlottare, a sbevazzare bibite (niente alcolici, niente birrette) e a giocare interminabili partite di domino. Mi sembrava di essere ritornato ai tempi del cocomero e del baraccone, non fosse stato per le radio-giradischi a tutto volume (però lo ammetto: se si fossero messi a ballare non mi sarebbe dispiaciuto un giro di salsa, che all’epoca mi riusciva ancora).
Riparai in una lavanderia pubblica aperta anche di sera. Era pieno di dominicani e dominicane che si affaccendavano alle lavatrici a gettone: un bucato sei quarter (quarti di dollaro, del valore di 25 centesimi) , un’asciugata quattro (perché in America, per far prima, non mancano mai le asciugatrici). Fu una signora sui quarantacinque a rivolgermi la parola, mentre palleggiava tre fagotti enormi di biancheria da lavare e due pargoli di undici e otto anni, con le solite domande: come sta, è nuovo di qui, che cosa fa, ecc.
Poi, a bruciapelo, com’è normale qui: Usted está casado? (Lei è sposato?). No, risposi. Y no se aburre? (E non si annoia?). Dopo lo stordimento iniziale (avevo passato troppo tempo con Antonioni per non ritenere che la noia venisse dopo il matrimonio e non prima) capii: per lei era strano che un ultra-trentenne si trovasse a bighellonare la sera. Certo, la sua discreta figura a clessidra nonostante le quattro gravidanze e il suo sorriso simpatico e guascone mi ammonivano che, tanti anni prima, avrei fatto meglio a pensare un po’ meno ad Antonioni e a imparare un po’ più di spagnolo; e aveva ragione. Ma magari il marito geloso era dietro l’angolo, con due spanne di switchblade a serramanico, un liccasapuni molto temuto in loco. E dall’ospedale civile Columbia Presbyterian volevo star fuori finché possibile.
Mi misi a conversare col padrone della lavanderia. Era un signore cinese sui cinquant’anni circa, in camicia bianca e pantaloni neri e sfoderava un bel sorriso cordiale: aveva tutto l’aspetto della brava persona, del buon tintore dei paesini padani. Cominciò a raccontarmi della casa in New Jersey, del tragitto pendolare di ogni giorno, dei figli a scuola… Dopo una mezz’ora di ciarle, uscì dal retrobottega una signora cinese circa dell’età del padrone—doveva essere la moglie—con un vassoio ricolmo di fette di cocomero; ne offrì una a me, poi un’altra al marito, poi a tutte le signore intente al bucato e ai bambini.
Ringraziai sorridendo. L’orologio segnava le dieci e venti. L’ondata di calore si faceva sentire. Al primo boccone di anguria sciolto in bocca ripensai a tanti anni prima, a casa, alle fette fresche di frigo, al Baraccone. Il sorriso enigmatico del padrone della lavanderia mi diede per un attimo l’impressione che mi stesse leggendo nel pensiero. Magari anche in Cina, tanti anni fa, c’era stata l’anguria di mezza sera servita in una tenda all’aperto nel cortile di un’officina. Avrei voluto chiedergli come tradurre “baraccone” in cinese; ma passare per l’inglese rendeva tutto più difficile. E poi, a volte basta proprio il sorriso.
Che dono prezioso hai, Andrea di ricreare un'atmosfera e di farla rivivere e, ancora di più di saper stabilire paralleli arditi ma assolutamente convincenti fra la tua terra d'origine e la tua città di adozione.
RispondiEliminaStefano
Grazie!
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