Sto per cambiare casa. Tra due giorni aprirò per l'ultima volta la cassetta 421 e ritirerò le ultime lettere arrivate. Dal primo luglio in poi, tutto mi verrà consegnato a una casella postale all'ufficio vicino all'università.
Perché? Un po' perché, a tutti gli effetti, l'appartamento è troppo grande per me; non ho mai arredato la stanza in più, che quindi non è mai diventata 'camera degli ospiti'. Poi, è un po' troppo isolato. Per carità: gli alberi restano sempre incantevoli. Era bello (è lo ancora, per i giorni che mi restano) vedere tanto verde d'estate e tanto bianco d'inverno dalla finestra attorno a casa; lo mostrano le tante fotografie che ho messo in rete anche qui. Purtroppo, però, come ho scritto un po' di tempo fa, la via in cui abito, da strada bianca degli anni '70 (come la descriveva la mia vicina agricoltrice, probabilmente ex-hippie) è oggi una carrabile frequentatissima. Non ho un sentiero dove passeggiare o correre (ho rimesso le scarpe da ginnastica e i dolori alle gambe sono scomparsi) e debbo fare tre chilometri di automobile per trovarne uno. L'appartamento dove prenderò alloggio a settembre (mi aspettano due mesi di camera a pensione, sarà un po' come essere in un posto di vacanza) dà addirittura sulla trafficatissima Route 9; ma almeno è ben insonorizzato (ho provato con le finestre chiuse) e il sentiero tra gli alberi è quasi dietro l'angolo.
Quando sono arrivato per la prima volta, quasi due anni fa (il 23 luglio 2011) volevo allontanarmi di proposito dal caos della città. Avevo abitato dieci anni a New York, di cui nove di agio totale (appartamentino monolocale spazioso al ventunesimo piano su Riverside Park, con vista meravigliosa vuoi sull'Hudson vuoi su Harlem) e uno di disagio impensabile, tra camere a pensione e trasferimenti in metropolitana tra il quartiere di Astoria e la Upper East Side dove avevo trovato un lavoro temporaneo. La quiete e il paesaggio di campagna di qui mi ricordavano molto le campagne intorno a casa mia e, anche se sono nato al Borselli di Bondeno (nel 1964 c'era...) e ivi cresciuto al Santissimo (la casa c'è ancora, a Via I Maggio 8), mi sono sempre sentito molto affezionato ai paesaggi di campagna dov'era cresciuto mio padre e dove mio nonno mi accompagnava durante le nostre lunghissime uscite in bicicletta d'estate (ho una bicicletta anche qui, ma il terreno collinare mi ha scoraggiato molto presto e non l'ho quasi usata; magari ora ritento, scegliendo con cura i percorsi). Insomma, ero un po' come il personaggio della canzone di Elton John Goodbye Yellow Brick Road, che dà addio alla corsa al successo della città per tornare alla campagna.
Mah... la campagna non è mia: appartiene a un altro (il padrone di casa) e a un'altra nazione (casa e padrona al tempo stesso). La casa della vita è di là da venire. E comunque ormai ho quarantotto anni: il grande avvenire è dietro le spalle, anche se non mi ricordo d'averlo visto (lo stress è come un gran raffreddore, che ottunde odori e sapori). Mi bastano i minimi comfort della nostra vita di oggi (i pochissimi che posso permettermi) e il privilegio (guadagnato a colpi di fatica e sacrifici, beninteso, e per nulla definitivo) di occuparmi ancora professionalmente di cose che mi soddisfano lo spirito. Finché può durare, posso dirmi contento. E allora ciao, casella 421; lasciamoci col sorriso di quelle poche volte che mi facevi trovare il biglietto di un amico o la lettera di qualche mio corrispondente italiano non ancora informatizzato. Ti lascio in compagnia di una lepre non di marzo, ma di fine giugno, che s'è avvicinata alla mia porta stasera. Che ti porti fortuna.
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