Ora mi espongo al rischio anch'io. Non voglio coinvolgere la Shoah ("catastrofe", mi dicono che significhi in ebraico; così sarebbe più giusto chiamare l'Olocausto, che non è stato affatto un "sacrificio"): la vergogna d'Europa (e non la sola) parli per sé. Non voglio fare una parodia di Primo Levi (che ho studiato e che amo molto). Non voglio offendere alcuna etnia o la storia e i sentimenti di alcuno: sono sempre stato vicino a chi soffre e non me ne allontanerò mai. Voglio solo usare due verbi della lingua italiana nella maniera più piana possibile: "considerare" e "meditare". E non alla seconda persona plurale (odio le invettive) ma alla prima, perché anch'io sono coinvolto.
Consideriamo se questa è una nazione, da cui ogni vera autonomia è scomparsa, dove i giovani crescono senza speranze e spesso senza valori e dove sembra non esistere idea di futuro oltre le promesse neo-liberiste, vaghe nella migliore delle ipotesi e terrificanti nella peggiore, che rischiano di mettere a repentaglio molti dei valori su cui abbiamo costruito la vita sociale (ma si finirà molto probabilmente col credervi, per paura di perdere anche il boccone che resta, e quindi col venirne quasi inevitabilmente traditi).
Consideriamo se questa è una democrazia, dove da anni il potere è chiaramente al di fuori della portata del popolo, dove non c'è più dialettica oppositiva tra maggioranza e opposizione, dove le coscienze sono pilotate dai media, dove s'e perso il senso del dibattito civile, dove domina la sfacciataggine e la mancanza di vergogna di fronte a qualsiasi imbroglio e dove anche i movimenti di sedicente opposizione sembrano solo far leva sullo scontento diffuso.
Consideriamo se questa è una cultura, dove non si discute veramente più dei temi importanti e urgenti in maniera realista e rispettosa di chi vive le situazioni, dove l'aggressione verbale ha preso il posto della discussione civile e ci si appassiona solo alle liti ("Or mira, che per poco che teco non mi risso!", rimproverava Virgilio a Dante attratto indegnamente dalle offese e dai cazzotti tra Sinone e Mastro Adamo in Inferno, XXX, 131-132).
Meditiamo che questo accade ogni giorno, sotto i nostri occhi o a nostra insaputa.
Magari è troppo comodo per me parlare da lontano, da un'altra realtà molto diversa in cui vivo da anni (e dove so di star bene, anche se in molti aspetti è decisamente simile); ma, per affetto e per mestiere, non posso non tenere gli occhi puntati sull'Italia. E, anche se non sono ebreo, ho letto Primo Levi con passione e proprio ora debbo essergli grato di quella sua poesia-invettiva (chi ha visto l'inferno in terra può permetterselo) che non solo ci ha mostrato la condizione abbrutita delle vittime dei campi di concentramento e ci ha insegnato ad averne un profondo rispetto, ma ci ha anche imposto (imposto!) di considerare e di meditare. Quindi dobbiamo farlo; altrimenti gli facciamo un torto e rischiamo di causare altre catastrofi.