22 aprile 2014

Senza parodie

La definizione di "parodia" del Dizionario Garzanti è "imitazione caricaturale"; ed è quanto molti hanno trovato offensivo nell'ormai famigerato blog di Beppe Grillo, ovvero un'imitazione caricaturale della poesia di Primo Levi all'inizio del suo meraviglioso Se questo è un uomo. Tante le reazioni, soprattutto nel PD. L'Onorevole Emanuele Fiano, che ho conosciuto e che stimo molto, ha tenuto un discorso veemente contro Grillo alla Camera Dei Deputati; e, anche oltre la sua storia personale (suo padre Nedo è sopravvissuto ai campi di concentramento per miracolo), gli do ragione: Auschwitz è una vergogna europea. All'Onorevole Fiano, qualcuno su Facebook ha risposto accusandolo di ipocrisia: a una vignetta di Vauro che riprende la scritta dei cancelli di Auschwitz il PD non ha risposto proprio niente (e in effetti Vauro sta diventando sempre più volgare, per la verità).

Ora mi espongo al rischio anch'io. Non voglio coinvolgere la Shoah ("catastrofe", mi dicono che significhi in ebraico; così sarebbe più giusto chiamare l'Olocausto, che non è stato affatto un "sacrificio"): la vergogna d'Europa (e non la sola) parli per sé. Non voglio fare una parodia di Primo Levi (che ho studiato e che amo molto). Non voglio offendere alcuna etnia o la storia e i sentimenti di alcuno: sono sempre stato vicino a chi soffre e non me ne allontanerò mai. Voglio solo usare due verbi della lingua italiana nella maniera più piana possibile: "considerare" e "meditare". E non alla seconda persona plurale (odio le invettive) ma alla prima, perché anch'io sono coinvolto.

Consideriamo se questa è una nazione, da cui ogni vera autonomia è scomparsa, dove i giovani crescono senza speranze e spesso senza valori e dove sembra non esistere idea di futuro oltre le promesse neo-liberiste, vaghe nella migliore delle ipotesi e terrificanti nella peggiore, che rischiano di mettere a repentaglio molti dei valori su cui abbiamo costruito la vita sociale (ma si finirà molto probabilmente col credervi, per paura di perdere anche il boccone che resta, e quindi col venirne quasi inevitabilmente traditi). 

Consideriamo se questa è una democrazia, dove da anni il potere è chiaramente al di fuori della portata del popolo, dove non c'è più dialettica oppositiva tra maggioranza e opposizione, dove le coscienze sono pilotate dai media, dove s'e perso il senso del dibattito civile, dove domina la sfacciataggine e la mancanza di vergogna di fronte a qualsiasi imbroglio e dove anche i movimenti di sedicente opposizione sembrano solo far leva sullo scontento diffuso.  

Consideriamo se questa è una cultura, dove non si discute veramente più dei temi importanti e urgenti in maniera realista e rispettosa di chi vive le situazioni, dove l'aggressione verbale ha preso il posto della discussione civile e ci si appassiona solo alle liti ("Or mira, che per poco che teco non mi risso!", rimproverava Virgilio a Dante attratto indegnamente dalle offese e dai cazzotti tra Sinone e Mastro Adamo in Inferno, XXX, 131-132). 

Meditiamo che questo accade ogni giorno, sotto i nostri occhi o a nostra insaputa. 

Magari è troppo comodo per me parlare da lontano, da un'altra realtà molto diversa in cui vivo da anni (e dove so di star bene, anche se in molti aspetti è decisamente simile); ma, per affetto e per mestiere, non posso non tenere gli occhi puntati sull'Italia. E, anche se non sono ebreo, ho letto Primo Levi con passione e proprio ora debbo essergli grato di quella sua poesia-invettiva (chi ha visto l'inferno in terra può permetterselo) che non solo ci ha mostrato la condizione abbrutita delle vittime dei campi di concentramento e ci ha insegnato ad averne un profondo rispetto, ma ci ha anche imposto (imposto!) di considerare e di meditare. Quindi dobbiamo farlo; altrimenti gli facciamo un torto e rischiamo di causare altre catastrofi.

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