Sono di Bondeno di Ferrara. Una volta, quando erano troppe le cose che non capivo, non ci tenevo molto. Oggi, nonostante le troppe cose che seguito a non capire, penso di avere un senso del posto in cui sono nato. Non è un bel paese. Non ha monumenti storici di rilievo, solo una piazzetta carina del Cinque-Seicento con l’unico porticato. Non ha nessuna attrazione particolare. Non è Finale Emilia, l’epicentro del terremoto di questi giorni, coi suoi soffitti affrescati, con la sua torre dell’orologio mezza crollata, con la sua stagione teatrale. È Bondeno: ha subito le scosse, ma pochi ne parlano (magari ha meno danni, non lo so).
Sul suo Facebook, un’amica delle mie parti scrive che mai come adesso, dopo le scosse, ha amato quei luoghi; che poi sono gli stessi che ho fotografato più volte e pubblicato nei miei album, sempre in Facebook. Un’altra mia amica mi dice che scompaiono i casolari di campagna, le cascine, le barchesse…E allora mi chiedo: che cosa sono le mie parti?
Le mie parti sono i paesaggi di campagna, fermi, immobili, con le foglie verdi che tremano al vento d’estate e rinsecchiscono e cadono in autunno, coi rami spogli che si stagliano neri sul bianco della nebbia o si coprono di galaverna d’inverno. Sono gli scorci di fiume, le anse, gli argini, le golene, le lingue di sabbia in mezzo alla corrente, che noi chiamiamo ‘isole’. Sono le pozze, gli acquitrini, gli stagni al lato dei campi, i cespugli di sambuco lungo le scarpate. Sono le case gialle nel sole del tramonto. Tutte cose che non hanno niente di particolare.
Forse vi sono affezionato proprio perché non hanno nulla di particolare né pretendono di averlo: sono il mondo com’è, che esiste solo perché così è. Gianni Celati, che ha raccontato molto bene questo mondo, amava le bifamiliari simmetriche “in stile geometrile” sulla Via Emilia: non si mettono in mostra, non rivendicano né canoni né trasgressioni. È un mondo che mette di fronte al grado zero dell’esistenza, a quello che ci rende tutti comuni, al nostro mero esistere quotidiano; proprio quello messo oggi in pericolo dalle scosse sismiche.
Una caratteristica delle mie parti è, dicono, il capiríssim, strazio grammaticale del verbo “capire” col suffisso di superlativo assoluto. È una forma di rassegnazione materialista residuale, dopo secoli di vessazioni ambientali (rari i terremoti, magari, ma frequentissime le alluvioni) e storiche (gli Estensi erano tutt’altro che santi e lo Stato Pontificio era ancor peggio), che porta ad anticipare la disfatta con l’imperturbabilità, la stessa del paesaggio attorno. E allora si lavora sodo e si pazienta: si accetta la grande Via del mondo e si opera tutti i giorni, come nel Tao e in Confucio. “Po”, del resto, suona cinese.
Non è una perla di saggezza e nemmeno un comportamento sempre positivo; anzi, può portare all’uggia e alla noia e tarpare ogni potenzialità di pensiero e di azione. Lo dice sempre, a ragione, un altro mio amico delle mie parti, che mi ha insegnato lettere al liceo e che ha sempre vissuto in direzione ostinata e contraria. Non so se possa servire il Tao di Bondeno, in questi giorni. So solo che l’ipocentro del sisma non mi sentirà, ma ciononostante vorrei tanto che avesse pietà per “i minimi atti, i poveri / strumenti umani avvinti alla catena / della necessità (…)” (parole di Vittorio Sereni; non ne ho trovate di migliori). Perché quelle sono le mie parti, le parti di tutti noi.
Un abbraccio a tutti quelli delle mie (delle nostre) parti.
Una sola parola: grazie.
RispondiEliminaRicordati sempre che, oltre a tutto quello che hai descritto, siamo anche "papaveri rossi", resistenti a tutto, anche al diserbante. Ti voglio bene!
RispondiEliminaLeggere le tue belle parole 10 anni dopo toglie l’ansia di quelle buie ore e mi fa godere appieno di ciò che hai scritto e di come l’hai scritto . Paolo Borsari
RispondiEliminaTroppo buono, Paolo, ma grazie.
EliminaGrazie ho condiviso con entusiasmo su face book Grazie per le tue belle parole , hai espresso con le parole il
RispondiEliminaNostro sentire.
Mi firmo. Patrizia Micai
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