28 agosto 2012

Le parole in fondo al cuore

Non so chi abbia scritto "Porta Romana", la canzone della mala milanese ("e gettami giù la giacca ed il coltello / che devo vendicare mio fratello") quando era roba da ribelli e balordi emarginati, roba leggera ("Autobiografie della leggera" di Danilo Montaldi, da poco ristampato nei Tascabili Bompiani) e non crimine vero, da calibro nove. È una canzone leggerotta e a volte scollacciata, ma ha un verso che lascia il segno: "Ci sono tre parole in fondo al cuore: la gioventù, la mamma ed il primo amore". Le prime due ci lasciano, dice la canzone, e si resta imbrigliati nel terzo come imbecilli; ma sfuma presto anche quello, dicono dozzine di altre canzoni. Però quando scompare la prima magari non ci si rende conto; quando ci lascia la seconda sì. E chi mi conosce sa che mi è successo da poche settimane. È stato terribile per me, per i miei due fratelli e i miei familiari e tanti altri.

Non è però di ragioni di famiglia che voglio parlare, ma di un debito che debbo riconoscere proprio in questo sito di storie e storielle per i miei amici. È soprattutto a mia madre che devo il gusto del linguaggio e della scrittura. Non penso che si tratti di genetica né ho mai creduto che la scrittura fosse "un dono"; è un'abitudine, e a volte appunto un gusto, che si sviluppa col tempo e con l'esercizio, e che non può avere origine se non dalla lettura. Mia madre (come mio padre: s'erano conosciuti scambiandosi i libri di Pirandello) era una lettrice continua e vorace: accanto alla sua sedia c'erano sempre almeno quattro libri in sequenza.

È stata mia madre a farmi leggere i primi romanzi e racconti, alle mie prime carenze in italiano alla scuola media. Ricordo le nostre lunghe ore di lettura in montagna, quando fuori faceva freddo: Cassola, l'autobiografia di Chaplin... Rincarava la dose mio padre, leggendomi "I limoni" di Montale e facendomi innamorare degli Ossi di seppia poco prima degli esami finali. Terminai le medie con un voto molto alto in italiano, tante curiosità culturali e l'ultimo consiglio di mia madre: Sessanta racconti di Dino Buzzati, riletto più volte negli anni. Dopo seppi cavarmela più o meno da solo.

Quando si superano i quaranta (e i cinquanta si avvicinano a gran passo) è prevedibile perdere i genitori, anche se è duro e coglie sempre impreparati. Dopo, però, almeno così credo, loro prendono in noi il posto che debbono avere. Il posto di mia madre è, anche, nelle parole, nell'italiano che uso per raccontare queste mie storie e storielle e la vita che mi capita di vivere. Ci vuole vita per amare la vita, diceva un'altra madre della letteratura, la Lucinda Matlock dell'Antologia di Spoon River, altro libro che mia madre amava moltissimo; e con mia madre il linguaggio sapeva essere vita, creatività, spirito; e mio padre l'aveva capito. È giusto che, quiete quiete, le sue parole prendano posto in fondo al cuore.

2 commenti:

  1. Scritto dal cuore con la saggezza ed il riconoscimento che crescono con gli anni. Mi ha commossa.

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