Ho mostrato ancora una volta Umberto D, il noto film di Vittorio De Sica uscito in sala nel 1953. La seconda legislatura, cioè la prima a maggioranza democristiana, non aveva affatto risolto i problemi più urgenti dell'Italia, tra cui la svalutazione vertiginosa della lira. Calcolando in breve il valore della moneta nel 1952 (anno di ideazione e e stesura della sceneggiatura di Cesare Zavattini) coi coefficienti annuali di rivalutazione monetaria, ci si accorge che il valore della moneta in corso è la metà rispetto al 1945-46 (fine della guerra), un ventesimo rispetto al 1943 (passaggio al fronte alleato, occupazione tedesca), e meno di un quarantesimo rispetto al 1940 (entrata dell'Italia in guerra).
Il povero Umberto Domenico Ferrari, che probabilmente contava di godere gli anni del meritato riposo da dipendente ministeriale in piena autonomia e indipendenza, s'è trovato bloccato nella camera a pensione in affitto per poter lavorare e risparmiare senza nemmeno (quasi) i soldi per la mensa dei poveri (un grazie a Paolo Giatti per la nota di storia economica). Nelle sue condizioni ci sono tutti i pensionati in protesta, che chiedono un aumento del 20%. Il corteo non è autorizzato: le autorità hanno negato il permesso e quindi il Corpo della Celere disperde anche quelli che sembrano pacifici vecchietti (altro che Black Blocs!) che vivono in camere in affitto perché, abbandonato il loro luogo d'origine per seguire l'impiego a Roma, poi non sono riusciti a risparmiare a sufficienza per potersi permettere una casa loro (e la guerra aveva poi fatto il resto).
Ogni volta che rivedo Umberto D ho paura, perché riconosco sempre più da vicino i segni della crisi del presente. So di gente che, perso il posto di lavoro, dopo un anno di disoccupazione è finita alla mensa della Charitas (e molti dei gestori segnalano che ai loro servizi si presentano sempre più famiglie). L'orologio che Umberto Domenico Ferrari cerca di vendere ("tic-tac tic-tac tic-tac...") oggi potrebbe essere un telefonino cellulare magari di penultima generazione, appena meno smart degli ultimi modelli. Un bene di lusso? Non so, visto che in Italia per qualsiasi lavoretto bisogna essere disponibili sull'unghia, nel giro di poche ore: per non perdere un'opportunità da cento euro, bisogna averne spesi almeno duecento, altrimenti non ci si salva dalla fame. La reperibilità dev'essere continua e ininterrotta, come la lubrificazione della sega circolare per casseforti secondo il Maestro Dante Cruciani (Totò) ne I soliti ignoti (1958, regia di Mario Monicelli).
L'Italia del dopoguerra sapeva arrangiarsi e ha avuto modo di ricostruirsi. Quella di oggi teme, con santa ragione, di dover tornare ad arrangiarsi: in altre parole, si è tornati indietro di sessant'anni. La guerra c'è stata, anche senza le bombe: è bastata la finanza, a togliere dal mercato effettivo somme ingenti di denaro, che ora non fanno altro che moltiplicare se stesse senza produrre niente (e Marx non l'aveva messo in conto). E in effetti è proprio la vecchia arte di arrangiarsi, cioè di arrabattarsi a qualunque costo, con la fiducia fatalista che qualcosa capiterà e che si andrà oltre il punto di non-ritorno-alla-miseria, che propone la solita storia di successo inaspettato di un "creativo" italiano (uso le virgolette perché nel dizionario c'è solo l'aggettivo, ma non so che cosa usare). Riassumiamola così: dopo centinaia di no e di porte in faccia, il designer Matteo Di Pascale ha trovato qualcuno in Olanda che ha ascoltato la sua idea di una serie di carte da gioco simboliche per stimolare il pensiero. Adesso, con la collaborazione di un amico di Matteo residente in UK-US, l'idea è su un sito di ricerca fondi; se qualche finanziatore ci mette del suo, il progetto va in porto. L'articolo conclude: "Voi che leggete, cosa aspettate?"
Ma che cosa vuoi mai che aspettiamo? Aspettiamo un po' di rispetto. Aspettiamo, e ci aspettiamo, che il potere non faccia prediche, ma gestisca ragionevolmente le risorse reali nel nostro interesse. Aspettiamo, e ci aspettiamo, un giusto riconoscimento della nostra operosità. Non vogliamo sfondare e avere fama mondiale: vogliamo arrivare con dignità alla fine del mese, come sta scritto peraltro nell'articolo 36 della costituzione. Soprattutto, checché ne dicano i teorici del post-moderno, non ci sentiamo affatto obbligati a vivere di spinte bipolari, col prossimo colpo di telefonino cellulare che con un sì o con un no ci dice se abbiamo da mangiare la sera e il giorno dopo. Vorremmo aver fatto qualche passo avanti, rispetto al 1946.
Curioso: Arrangiatevi! era anche il titolo di un film diretto da Mauro Bolognini nel 1958, in cui una famiglia affittava un appartamento che fino a poco prima ospitava una casa di tolleranza. Il più, per la madre di famiglia, era far capire al vicinato che ora occupava l'immobile gente onesta e proba. È celebre il discorso finale di Totò, nonno della famiglia, dal balcone di casa: "Piantiamola con queste nostalgie! (...) A voi italiani è rimasto questo chiodo fisso qui! Toglietevelo! Arrangiatevi!". Parlava delle case di tolleranza, chiaro. Ma oggi di che cosa parlerebbe? Della (relativa) sicurezza del posto di lavoro? Di un avvenire sicuro e prevedibile? Di un minimo di stabilità familiare e sociale? Lo sapremo la settimana prossima. Forse.
Arrangiarsi? Magari! In Italia ormai siamo costretti, legati da lacci e lacciuoli, che non consentono nemmeno ad un povero disoccupato di inventarsi un lavoretto, per esempio di falegname, per sbarcare il lunario e fare qualche riparazione che nessun artigiano "ufficiale" ormai vuole più fare. Il poveretto dovrebbe, come minimo, aprire subito la Partita Iva, registrarsi alla Camera di Commercio, ottenere il nulla-osta allo svolgimento dell'attività, conseguire l'Iscrizione all'Inps ed all'Inail ... Per carità, adempimenti sacrosanti e diretti anche alla protezione della sua salute, ma che comportano, nel prosieguo, costi tali da scoraggi ogni nuova iniziativa privata (Contributi Inps - fissi e a percentuale, premi Inail, Irpef, Addizionale Regionale Irpef, Addizionale Comunale Irpef, Irap ... senza contare i costi per l'acquisto dell'attrezzatura, l'affitto di un locale, i costi dell'energia, di trasporto e via dicendo, che nessun istituto di credito vuol più finanziare in assenza di congrue garanzie!).
RispondiEliminaOppure, come è successo ad un'amica appena qualche giorno fa, di vedere la Guardia di Finanza bussare alla propria porta per comprendere se effettivamente la stessa avesse avuto il diritto di percepire un borsa di studio di circa 2.000,00, pagata dall'università due anni prima. Ti rendi conto: gli agenti della Guardia di Finanza che si presentano porta a porta quando, dall'ufficio, avrebbero potuto svolgere, secondo quanto millanta il Ministero che ne coordina l'attività, indagini sulle proprietà immobiliari, sui conti correnti bancari, sui movimenti di denaro, e quindi sul esistenza del diritto a quel piccolo compenso. Il nostro stato insegue le pagliuzze e perseguita i lavoratori minimi, senza vedere le travi nel proprio occhio, come i casi Mps, Finmeccanica, Saipem ...
Nel dopoguerra il nostro paese si è risollevato grazie all'operosità e le capacità dei nostri nonni e genitori; adesso le stesse capacità e operosità, ancora presenti, sono mortificate e umiliate quotidianamente.
Ciao Andrea, grazie del bel post, a presto
Andrea