18 febbraio 2013

Peccati di gioventù e di vecchiaia

Correva l'inverno 1991-92, quello di Tangentopoli e io ero appena ritornato dagli Stati Uniti. Anche se già ero laureato, ogni lunedì seguivo un corso di letteratura inglese e uno di letteratura angloamericana all'Università di Padova. Partivo alle sei e dieci da Bondeno e alle sei e mezza da Ferrara, dopo essere passato in edicola a comprare il Corriere della Sera (il lunedì non usciva Repubblica) e Cuore, il settimanale satirico in carta verde. Di solito leggevo prima il Corriere e poi ridevo con Cuore; ma ogni tanto era il tono falsamente conciliante del Corriere a farmi ridere, specie quando l'assurdo di Cuore si rivelava più vicino alla realtà (e capitava sempre più spesso).

Un mattino, però, avevo un bel po' di sonno e salii sul treno per Padova con la ferma intenzione di dormire. Un ragazzo di Ferrara che conoscevo dai viaggi frequenti (che chiamerò Marcello, anche se aveva un altro nome) era invece sotto esame e doveva ripassare. Quindi prendemmo posto: Marcello si mise seduto secondo la direzione del treno ("in spinta") per potersi concentrare, e io di fronte ("in tiro") per addormentarmi. Ci andò liscia fino alla stazione di Rovigo, quando salirono a bordo due ragazzotte chioccianti e rumorose, decisamente brutte e dalle chiome martoriate dalle parrucchiere di Loreo o di Contarina, che in tono fastidiosamente squillante si scambiavano le cronache del sabato e della domenica: fidanzati, famiglie e ricette di cucina. Per me e Marcello diventava difficile farci gli affari nostri.

Poi, poco dopo Monselice, il miracolo accadde. Una delle chioccianti chiese all'altra: "Mi dai la ricetta delle meringhe?". L'altra sciorinò la lista degli ingredienti da mescolare nella terrina e li suggellò in un crescendo finale: "e monti, monti, monti, monti, monti fino a che non viene duro!". Marcello mi guardò sorridendo e io, pur tappandomi la bocca, non riuscivo ad attutire i forti colpi al diaframma delle risate. Sobbalzavo facendo finta di star male, ma le chioccianti capirono subito e zittirono all'istante. Poco prima della curva a destra prima della stazione di Padova, ruppi il silenzio io: "Che cosa danno al Comunale adesso?" Marcello andava spesso a teatro e cominciò a commentare.

La nostra risata (mia, soprattutto) era piuttosto maliziosa e volgare e forse anche un po' classista. Per quelle povere ragazze eravamo due bellimbusti borghesi dediti a deridere il prossimo; due vitelloni da film di Fellini, insomma. E forse avevano ragione. Però noi non ci eravamo nemmeno rivolti a loro; approfittammo solo di un loro punto debole per ridere tra di noi e lasciarle con grande naturalezza nella vergogna della loro figuraccia. Ci stettero male per un po' e noi ci ritenemmo vendicati del chiasso che avevano fatto entrando nello scompartimento e distogliendoci dalle nostre occupazioni. Era solo ironia, in fondo.

Oggi fanno passare per ironia la domanda disgustosa e offensiva del solito vecchietto bavoso alla giovincella che lo presenta al comizio: "Lei viene?" Non mi amareggia tanto la domanda in sé, che è solo un'odiosa fesseria, quanto la platea beota che sorride e apprezza e l'interlocutrice che sta al gioco quando avrebbe potuto mettere a posto il noto vecchietto con un'arguzia ben assestata, come capita nell'intera sesta giornata del Decameron di Boccaccio; basterebbe leggere. Ma si sa: i tempi cambiano. E in peggio.

In quei lunedì di ventun anni fa, col Corriere della Sera e Cuore l'uno di fronte all'altro, immaginavo che prima o poi il teatrino della politica sarebbe finito in farsa. Le battute ciniche e crudeli di Giulio Andreotti si sono trasformate in quelle prepotenti e offensive di Silvio Berlusconi, il professore di diritto Giuliano Amato in rappresentanza di Bettino Craxi nel professore di economia Mario Monti in rappresentanza del Club Bilderberg, il clericale in grisaglia Forlani nel clericale in loden verde Casini, mentre il duo Occhetto-Martinazzoli (il tenace e il pensoso) s'è fuso nel maestro Zen Pier Luigi Bersani, che per me resta ancora il più simpatico, anche nel senso etimologico della parola: quello che ha più sensibilità per gli altri. E il talento comico migliore di allora, Beppe Grillo, ora è una lista elettorale; c'era da aspettarselo.

"Ragazzi, siam pazzi? Non siamo mica qui ad asciugare gli scogli..." Pier Luigi, mi sei simpatico e ti voto, certo, ma in verità io ho proprio l'impressione di asciugare gli scogli, di smacchiare il manto dei leopardi, di andare con l'innaffiatoio e l'ombrello nelle Foreste dell'Amazzonia, di fare il parmigiano col latte di soia, di fermar l'acqua con le mani... "Perché se piove, piove per tutti." Già: son ventun anni che diluvia.

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